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mercoledì 17 febbraio 2016

E' iniziata la colonizzazione dell'Africa. Agricoltura di precisione, satelliti ed AGBOT

Sono ormai maturi i tempi in cui la colonizzazione dei territori vergini dell’Africa potrà essere attuata grazie ai satelliti (per esempio "Galileo") e ad AGBOT controllati a migliaia di chilometri di distanza. Queste macchine saranno completamente autonome, poichè saranno in grado di lavorare (24 ore su 24) e di autorifornirsi di concimi, di fitofarmaci e di carburante presso il centro aziendale. 

La completa automazione del processo produttivo è però limitata dall'approvvigionamento del seme, visti anche gli elevati quantitativi richiesti. Il problema potrebbe essere risolto mediante lo sviluppo di sementi apomittiche, ovvero sementi che generazione dopo generazione sviluppano piante identiche alla madre, anche nel caso di piante ibride come nel mais. A questo punto il problema dell'approvvigionamento del seme sarebbe risolto, poichè queste macchine coltiveranno, raccoglieranno la produzione e metteranno il tutto in un silos per la conservazione. Ovviamente nel caso di seme apomittico una parte della produzione potrà essere utilizzata per la semina nell'annata successiva e, pertanto, queste "aziende agricole automatiche" saranno completamente autonome. In definitiva sarà un processo produttivo che potrà durare all’infinito senza l’intervento dell’uomo.

Ovviamente i prodotti ottenuti in queste "aziende agricole automatiche" saranno spediti nei Paesi Ricchi, Europa compresa, dove saranno utilizzati soprattutto come mangimi per l'alimentazione animale, poichè noi gli OGM non li possiamo coltivare, ma li possiamo importare.

Con un sistema produttivo di questo tipo i Paesi Ricchi riescono ad ottenere 3 piccioni con una fava:

1) accontentano gli industriali, che così in cambio di commodities agricole possono continuare ad esportare in Paesi che non hanno risorse economiche per pagare le importazioni di macchine, di medicinali, ecc.;

2) accontentano gli altri Paesi nostri partner nel WTO, che così possono importare prodotti tecnologici in cambio di "materie prime agricole";

3) accontentano i cittadini, con uno specchietto per le allodole, perchè hanno vietato la coltivazione di OGM all'interno del proprio Paese, pur non avendo vietato nè l'importazione di materie prime OGM, nè quella di derivati OGM senza specifica etichettatura.

Ma in questo modo facciamo morire l’agricoltura, almeno così come la conosciamo.

mercoledì 3 febbraio 2016

Dalla manipolazione delle piante alla manipolazione dell'informazione

Può accadere che per agevolare l'introduzione degli OGM in campo agricolo anche l'informazione, soprattutto quella ritenuta imparziale, sia oggetto di condizionamenti. Di seguito un articolo del "The New York Times".

http://www.nytimes.com/2015/09/06/us/food-industry-enlisted-academics-in-gmo-lobbying-war-emails-show.html?hp&action=click&pgtype=Homepage&module=first-column-region&region=top-news&WT.nav=top-news&_r=1

giovedì 28 gennaio 2016

Celiachia ....... diserbante o selezione genetica?

L’”intolleranza al glutine” è in forte aumento, con relativo sviluppo delle situazioni di malessere per le persone e, dall’altro, degli affari relativi alla vendita di “paste senza glutine”, anche a 5 volte il prezzo di quelle normali, spesso a carico del servizio sanitario nazionale …… ovvero di noi tutti.

E’ colpa del “frumento OGM”? Sicuramente no, in quanto il frumento OGM resistente ai diserbanti, pur essendo stato creato, non è disponibile per la coltivazione. Qualcuno afferma che sia colpa del diserbante utilizzato nella coltivazione, in quanto, come è risaputo, in alcuni principali Paesi produttori/esportatori è normale fare un trattamento disseccante poco prima della raccolta.

http://ogmbastabugie.blogspot.it/2014/05/in-alcuni-paesi-e-normale-fare-un.html

In particolare, la dottoressa Stephanie Seneff, ricercatrice senior al Massachusetts Institute of Technology (MIT), e il suo collega Anthony Samsel hanno appurato che esisterebbe una relazione diretta fra il consumo di grano così trattato e la misteriosa “intolleranza al glutine”. Tale studio è stato pubblicato nel 2013 sulla rivista “Interdisciplinary Toxicology”.

Dall’abstract di questa ricerca “Glyphosate, pathways to modern diseases II: Celiac sprue and gluten intolerance” si rileva che:

La malattia celiaca, e, più in generale, l'intolleranza al glutine, è un problema crescente in tutto il mondo, ma soprattutto in Nord America e in Europa, dove si stima che il 5% della popolazione ne soffra. I sintomi includono nausea, diarrea, eruzioni cutanee, anemia macrocitica e depressione. Si tratta di una malattia multifattoriale associata a numerose carenze nutrizionali, nonché le questioni riproduttive e aumento del rischio di malattie della tiroide, insufficienza renale e cancro. Il glifosato, il principio attivo del diserbante Roundup®, è con ogni probabilità il fattore causale di questa epidemia …………..

http://responsibletechnology.org/media/Glyphosate_II_Samsel-Seneff%281%29.pdf

Il professor Luigi Pecchiai, storico fondatore dell’Eubiotica in Italia ed ematologo emerito all’ospedale Buzzi di Milano, afferma che la celiachia sia probabilmente dovuta al miglioramento genetico del frumento, con particolare riferimento alla selezione di varietà di frumento nanizzati mediante “mutazione indotta” da sostanze radiattive. A suo parere urge la necessità di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, rispetto al frumento originario.

http://wsimag.com/it/benessere/1581-celiaci-nellincudine-tra-cibo-e-malattia

In definitiva, secondo alcuni studiosi, l’attuale epidemia di celiachia che sta interessando adulti e bambini sembra essere un connubio tra la tossicità di un diserbante e gli interventi di miglioramento genetico del frumento mediante “mutazioni indotte da radiazioni”.

lunedì 25 gennaio 2016

Ogni Paese europeo potrà vietare l’uso di prodotti contenenti ogm?

Ogni Paese europeo potrà vietare l’uso di prodotti contenenti ogm? Si tratta di una proposta della Commissione Europea che se approvata aprirebbe al blocco dell’importazione di mais e soia ogm per la produzione di mangimi. Sorge spontanea la domanda: dove troveremo mais e soia ogm free dato che importiamo per il mais il 30% e per la soia l’85% del nostro fabbisogno? Ma vediamo i numeri. Prendendo in considerazione solo mais e soia, a livello mondiale la quota di superfici ogm è pari, rispettivamente, al 30 e all’85% di quella totale, ma nei tre principali produttori ed esportatori – Argentina, Brasile e Stati Uniti – varia dal 94 e all’88%. È chiaro quindi che approvvigionarsi di mais e di soia ogm free da questi Paesi sarà piuttosto difficile.



Lo scenario per il mais

Nel 2013 l’Italia ha importato quasi 4 milioni di tonnellate di mais principalmente dall’Ucraina, che non produce mais ogm, e dai Paesi comunitari. La quota di mais importata da Paesi con coltivazioni ogm (Brasile, Argentina, Stati Uniti) incide per pochi punti percentuali per un totale di circa 100.000 tonnellate, di cui il Brasile ne fornisce circa 96.000.

Il potenziale produttivo di mais ogm free del Brasile, che è il principale fornitore dell’UE, potrebbe raggiungere i 13-14 milioni di tonnellate, valore che confrontato con le attuali esportazioni complessive, circa 20 milioni di tonnellate, lascia intravedere ancora un ampio margine di sicurezza rispetto ai volumi importati dall’Italia e anche dell’Ue nel suo complesso (le importazioni totali UE dal Brasile si aggirano sui 2,4 milioni di tonnellate). Tuttavia il Brasile esporta anche in altri Paesi, come ad esempio il Giappone, con i quali potrebbero essere già in atto accordi per la vendita di prodotti non ogm.

In sintesi la domanda di mais ogm free potrebbe essere soddisfatta senza grosse difficoltà.




Lo scenario per la soia



Per quanto riguarda la soia la situazione è più problematica sia per la nostra marcata dipendenza dall’importazione, sia per la concentrazione della produzione in pochi Paesi.

Nel 2013 l’Italia ha importato circa 1,4 milioni di tonnellate di semi e circa 1,8 milioni di tonnellate di farine di soia per un volume complessivo di circa 3,2 milioni di tonnellate di prodotto estero.

La produzione mondiale di soia si concentra soprattutto nei Paesi dell’America meridionale e settentrionale: i primi 10 produttori offrono il 97% della soia mondiale e il 98% dell’export sia per i semi, sia per le farine.

Di questi 10 Paesi 8 sono esportatori e solamente l’Ucraina produce solo soia non ogm; negli altri – Stati Uniti, Canada, Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Bolivia – la quota di superfici ogm varia dal 60% del Canada al 100% dell’Argentina.

La produzione di soia ogm free, considerando che le rese delle colture no ogm sono inferiori, potrebbe aggirarsi sui 43 milioni di tonnellate, pari al 15% di quella mondiale. Una produzione che dovrebbe soddisfare anche le richieste interne di questi Paesi, visto che in particolare negli Stati Uniti esiste una domanda interna da soddisfare.

Anche ipotizzando che tutta la soia ogm free fosse offerta sul mercato mondiale, l’export di semi tradizionali ammonterebbe a circa 16 milioni di tonnellate, pari a circa il 15% dell’export di semi. Per le farine la disponibilità di prodotto ogm free sarebbe invece poco significativa.

Confrontando per ogni singolo Paese fornitore dell’Italia la disponibilità di prodotto ogm free, l’export

complessivo e l’import italiano, emerge una buona copertura della domanda di semi, mentre per le farine si rileva un deficit di oltre il 70% in conseguenza degli acquisti dai Paesi sudamericani.

Una situazione difficile che peraltro non tiene conto di eventuali accordi commerciali tra esportatori e importatori e della concorrenza tra Paesi, ad esempio quelli comunitari, per acquisire il prodotto ogm free.

giovedì 24 dicembre 2015

GENOME EDITING e OGM, la colza resistente ad un diserbante ottenuta con tecniche di CRISPR/Cas9

La tecnica di manipolazione genetica conosciuta come “Genome Editing” (CRISPR/Cas9) consente di introdurre delle mutazioni nei vegetali e di ottenere nuove piante con caratteristiche modificate, simili a quelle ottenute per “Mutazione indotta” da radiazioni, da sostanze chimiche, ecc.. E’ sicuramente una tecnica potentissima, che porterà grandi risultati per la cura di malattie umane e che qualcuno vorrebbe applicare anche alla selezione genetica delle piante che quotidianamente ci forniscono il cibo.

 

A dir la verità la prima pianta ottenuta con tecniche di Genome Editing è già disponibile. Si tratta di una varietà di colza resa resistente ad un diserbante (così come “colza RR”) il “sulfonilurea”. La necessità agronomica di poter avere a disposizione una pianta resistente a questo specifico diserbante nasce dal fatto che in alcuni Paesi, che frettolosamente hanno introdotto piante OGM resistenti ai diserbanti, dopo anni di utilizzazione dello stesso diserbante nelle coltivazioni RR, le piante infestanti hanno maturato una resistenza genetica a questo diserbante, per cui l’infestazione è incontrollabile. L’introduzione di questa nuova resistenza consentirà, quindi, di controllare infestazioni di piante che al momento risultano essere resistenti.


Il nome di questa varietà di colza ottenuta con tecniche di Genome Editing è “SU Canola" ed è frutto di una giovane società sementiera di nome “Cibus” operante in California. 
Per quanto attiene ai Paesi della UE, una delle problematiche da risolvere per consentire la coltivazione di questa colza anche nel nostro Paese è sicuramente quella relativa alla sua appartenenza o meno al gruppo delle piante OGM. In particolare, occorre rispondere ad una domanda, le piante ottenute attraverso Genome Editing sono da comprendere tra quelle OGM oppure no? La risposta è sicuramente molto difficile, in quanto le piante ottenute con questa tecnica sono indistinguibili da quelle ottenute attraverso mutazione indotta, che al momento non sono comprese tra quelle che la legislazione dell’UE definisce OGM.
A parere di alcuni scienziati la nuova generazione di biotecnologie (CRISPR/Cas9) crea risultati identici a quelli che si sarebbero ottenuti attraverso l’utilizzazione di agenti mutanti (radiazioni, sostanze chimiche, ecc.) e, pertanto, non sarebbe possibile discriminare tra queste piante e quelle ottenute per mutazione indotta. In conclusione, non farebbero parte del gruppo OGM, così come definito dalla legislazione comunitaria.



Altri invece affermano che queste nuove piante hanno il patrimonio genetico modificato in laboratorio, mediante tecniche di ingegneri genetica, e, pertanto, appartengono al gruppo di quelle piante che la legislazione identifica come OGM. In particolare, eminenti studiosi, come per esempio la Sen. Elena Cattaneo, hanno fatto notare che “Definire come giuridicamente diverso ciò che è scientificamente uguale (sempre di “taglia e cuci del Dna” si tratta) può essere una ennesima alchimia politica a cui la scienza non si dovrebbe prestare”.

martedì 8 dicembre 2015

Il Genome Editing in agroalimentare, questo sconosciuto

Cos’è il Genome Editing? Si tratta in termini generali dello sfruttamento del sistema immunitario adattativo scoperto nei batteri, con importanti implicazioni per la medicina di domani e che qualcuno vuole utilizzare per il miglioramento genetico delle piante alimentari, per conferire loro resistenza a malattie di origine batterica, virotica o fungina, per far produrre loro nutraceutici e, perché no, per renderle resistenti a particolari sostanze e/o situazioni (diserbanti, caldo, freddo, ecc.). 
Si chiama CRISPR/Cas9. L’acronimo sta per l’enzima prodotto dal gene Cas9 e i Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, le ripetizioni palindromiche di gruppi di Dna estraneo (di virus o quant’altro) disposti a intervalli regolari.
Il sistema CRISPR–Cas9, scoperto nel 2005 nell'ambito delle applicazioni biotecnologiche per la produzione casearia, è un meccanismo di difesa immunitaria utilizzato dai batteri per resistere alle infezioni dei virus batteriofagi.

Nel corso dell'evoluzione, i batteri hanno imparato a immagazzinare parte del DNA dei virus nel proprio genoma e ad utilizzarlo per difendersi da una successiva infezione degli stessi virus, grazie a un ingegnoso meccanismo. Per dar corpo a questo meccanismo sono d
ue gli strumenti necessari:
- un enzima capace di tagliare il DNA (nel caso specifico quello del virus, ma può essere utilizzato per tagliare il DNA di altri organismi), la Cas9 endonucleasi;
- una molecola di RNA ogni volta diversa, che serve ad indirizzare l’enzima CAS9 su una sequenza corrispondente nella doppia elica del virus, dove avverrà l’incisione.
Da dove viene questo attrezzo biologico? Da una specie di sistema immunitario con cui la maggior parte dei batteri si difende dai virus. In pratica, ogni volta che un batterio incontra un batteriofago ne colleziona un pezzo di DNA. È una specie di foto segnaletica. Dopo ogni esposizione a un virus resta questo ricordo, che il batterio incastona nel proprio DNA, per poi utilizzarlo nel caso di una nuova infezione da parte dello stesso virus.
Quando i batteri incontrano un altro virus che ha una di quelle sequenze, lo riconoscono e quindi producono l’RNA corrispondente. Poi, con l’RNA montato sulla Cas9, piombano sul punto preciso del DNA virale e lo tagliuzzano. A quel punto il virus, con i geni a pezzi, è diventato inservibile e innocuo.

Ulteriori studi hanno permesso di scoprire i dettagli molecolari del funzionamento di Cas9 che, una volta associato a un'opportuna sequenza di RNA, può essere utilizzato dai ricercatori per tagliare il genoma anche di altre cellule eucariote, modificando nel modo voluto specifici geni, in quello che viene definito Editing Genetico.

Cas9 insieme all’RNA formano un ribozima, un’antica invenzione che è alla base della vita, permettendo la sintesi di proteine in ogni cellula; i ribosomi, sono dei ribozimi. Diventa chiaro che il ribozima puo’ funzionare con qualunque sequenza guida a RNA che segua poche semplici regole. Da qui a dimostrare che Cas9 taglia qualunque sequenza di DNA in modo preciso ed efficiente, se armato dell’RNA complementare corrispondente, il passo e’ breve. E ancora meno a capire che il sistema costituisca l’equivalente di una microscopica forbice molecolare specifica per manipolare in DNA a piacere. Infatti, si scopre che in cellule eucariotiche, come le nostre, i tagli vengono riparati in modo imperfetto, creando frequentemente microinserzioni o delezioni, ovvero l’aggiunta o la cancellazione di alcune basi del DNA nella regione riconosciuta (mutazioni), la condizione perfetta per modificare geni  direttamente dove risiedono nel genoma.
Purtroppo non sono tutte rose e fiori: non sappiamo ancora quanto preciso e affidabile sia Cas9. Se lo usassimo in futuro per modificare il DNA di un malato (per spegnere un oncogene), provocheremmo anche altre modifiche nel suo genoma? Questo è possibile, se non altro perchè le sequenze guida sono piuttosto corte e non sempre sono uniche in un genoma.
Non sappiamo ancora bene cosa succeda durante la riparazione del DNA tagliato da Cas9 e qual’è l’esatto spettro di modifiche che ciò implica. In più riparare il DNA tagliato su entrambi i filamenti della doppia elica è un affare notoriamente complesso e rischioso, tanto è vero che la riparazione del DNA è uno dei sistemi che vengono quasi universalmente disabilitati dai tumori.
C’è qualche evidenza che fornendo due RNA guida in zone limitrofe si possa cancellare l’intera regione di DNA compresa.
Inoltre, introducendo oltre a guide a RNA ad hoc anche un DNA stampo, Cas9 può anche correggere sequenze a piacere, non solo cancellare o aggiungere basi a caso.
Infine, disegnando più di una guida di RNA per riconoscere regioni sufficientemente distanti, si possono produrre mutazioni in più geni contemporaneamente.
L’introduzione o la cancellazione di più sequenze in modo simultaneo e controllato promette di aumentare enormemente la flessibilità’ del sistema, permettendo di ridisegnare geni a piacere in modo preciso.
Però non è ancora del tutto dimostrato quanto realizzabili, efficienti e fedeli siano queste variazioni. Nonostante ciò, volendo essere ottimisti e visionari, come per deformazione professionale lo sono gli scienziati, bisogna notare come la scoperta di CRISPR/Cas9 stia già rivoluzionando la scienza in laboratorio. Per ora sembra che Cas9 e le sequenze guida di RNA possano essere introdotte in qualunque cellula di qualunque organismo.
Ciò ha già permesso di modificare organismi modello impermeabili ad altri sistemi, sviluppare sistemi di screening innovativi in cellule in coltura e di velocizzare enormemente la costruzione di organismi modello complessi per svariate malattie.
Non si vede come nel medio-lungo periodo queste scoperte non debbano maturare una miriade di applicazioni tecnologiche da adottare con le dovute cautele anche per la medicina del futuro.

Come al solito, ovviamente, un conto è  l'applicazione in medicina, che deve affrontare problematiche connesse alla vita o alla morte, un conto, in sintonia con il Principio di Precauzione, è l'utilizzazione di tecnologie fortemente innovative per la modificazione del cibo che tutti i giorni siamo costretti ad ingerire. In particolare:

- il cibo ottenuto avrà le stesse caratteristiche di quello precedente?

- nel caso in cui non ci trovassimo di fronte allo stesso identico alimento, lo potremo comunque utilizzare con le stesse modalità di quello convenzionale?

- otterremo da questo alimento gli stessi apporti nutrizionali?

- nel caso in cui utilizzassimo il Genome Editing per "migliorare" un alimento, grazie alla presenza di «sostanze fortificanti», verrà ridotta l’incidenza di una certa malattia, ma la possibilità di contrarre altre malattie rimarrà la stessa, diminuirà o aumenterà?

- la nostra dieta quotidiana potrà rimanere invariata, oppure dovrà trasformarsi in relazione alla presenza di un "alimento diverso" che, oltre all’apporto o sottrazione di un determinato nutrimento, porta con sé altri effetti?

- in definitiva, consapevoli del fatto che non esistono «alimenti buoni o cattivi», ma solo «regimi alimentari buoni o cattivi», quando il consumatore potrà utilizzare per la dieta quotidiana un alimento modificato nelle sue caratteristiche iniziali, aumenterà o diminuirà la probabilità di dar luogo a una dieta equilibrata nell’apporto dei fondamentali fattori nutrizionali?

- aumenterà o diminuirà la probabilità di mantenere o addirittura migliorare lo stato di salute, così come auspicato?

Sarà compito della ricerca scientifica fornire dati seri circa gli effetti sulla salute di questi nuovi alimenti, affiché sia possibile informare correttamente il consumatore circa le loro caratteristiche e consentire una scelta consapevole tramite adeguata etichettatura. 

Le possibilità offerte dal Genome Editing possono rappresentare un vero e proprio stravolgimento delle abitudini dietetiche della nostra società, che diviene sempre più complessa anche dal punto di vista delle scelte alimentari, con particolare riferimento a quella frangia di popolazione che potrebbe ricavare enormi benefici dalla presenza di funzionalità specifiche negli alimenti. Infatti essi consentirebbero anzitutto di avere cibi privi di sostanze dannose alla salute, come gli allergeni incriminati o le sostanze nocive per chi soffre di allergie o di intolleranze alimentari. Inoltre sarebbero accessibili cibi arricchiti di sostanze che prevengono l’insorgere di determinate malattie o «alimenti potenziati» capaci di fornire agli atleti una dieta consona alla loro attività. Tutto ciò può condurre a una trasformazione della dieta, interrompendosi il collegamento tra alimento e caratteristiche nutritive normalmente apportate da questo stesso alimento: la vitamina C sarà presente non solo nelle arance o nei kiwi, ma anche nel riso, nelle patate e, magari, nel mais. Potrebbero sommarsi contemporaneamente in un singolo alimento le caratteristiche nutrizionali che oggi otteniamo con più alimenti, per cui la dieta quotidiana a base di amido, carne, frutta, verdura, ecc. potrebbe diventare solo un ricordo del passato. Così come si può immaginare — come provocazione — la scomparsa dell’allevamento animale per la produzione di carne, in quanto le «proteine nobili» potrebbero essere ottenute in grande quantità dalla coltivazione di specifiche piante modificate nel loro DNA. 
Purtroppo, però, la modificazione del cibo, così come siamo abituati a consumarlo, non sono tutte favorevoli. Essi dovranno rispondere a requisiti minimi essenziali di sicurezza alimentare e ambientale, ai quali non è possibile derogare, riguardanti sia le caratteristiche nutrizionali sia quelle produttive. Circa le prime, si esige l’assenza di controindicazioni di ogni tipo, in quanto la sicurezza alimentare del cibo è un prerequisito irrinunciabile: il cibo, per sua natura, non deve nuocere alla salute. 

Dal punto di vista delle esigenze agricole e commerciali vi dovrà essere comprovata possibilità di coesistenza con altre forme di agricoltura convenzionale e/o biologica: le nuove piante non dovranno ostacolarne la crescita e lo sviluppo, né minacciare la biodiversità. Inoltre vi dovrà essere separazione netta della filiera distributiva di questi «nuovi prodotti» da quella degli alimenti convenzionali, per evitare la confusione tra gli uni e gli altri da parte dei distributori e dei consumatori. Il che genererà una lievitazione dei prezzi, che potrà essere forse contenuta, ma non del tutto eliminata, dalla possibilità di ricorrere a tecniche di produzione agricola già adottate per altre piante, al fine di semplificare la coltivazione in pieno campo e frenare i costi di produzione. Infatti perché possano affermarsi sul mercato e risultare reperibili essi dovranno garantire una redditività favorevole per l’agricoltore, anche a prescindere dalla presenza di contratti di coltivazione. Sul versante dell’utilizzatore, sia esso privato o industria di trasformazione, dovrà progressivamente realizzarsi una disponibilità all’utilizzo di questi  "nuovi alimenti". 

Il problema di maggior rilevanza riguarderà le caratteristiche qualitative di questi "nuovi alimenti", poichè la facilità con la quale sarà possibile tagliare e modificare il DNA consentirà un deciso sviluppo delle applicazioni, che, al momento, è impossibile da prevedere. In particolare, ogni impresa sarà portata a differenziarsi dalle altre offrendo un prodotto diverso, modificato secondo esigenze per lo più commerciali (contenuto di sostanze, assenza di allergeni, automazione produttiva, ecc.). A questo riguardo altre domande sorgono spontanee:

- fino a che punto sarà possibile modificare le caratteristiche dell'alimento convenzionale?

- chi deciderà la quantità di principio attivo introdotto o potenziato presente nell’alimento?

- chi deciderà le altre caratteristiche nutrizionali dell’alimento?

In definitiva, una volta che sul mercato saranno presenti questi "nuovi alimenti", occorrerà garantire al consumatore il diritto di operare una scelta consapevole, in quanto potrebbe essere modificata una una situazione che al momento, e nel complesso, è accettabile. In particolare, la massiccia presenza di alimenti esteriormente uguali, ma con caratteristiche nutrizionali diverse, aumenterebbe il rischio di indurre comportamenti alimentari errati. Si tratta di un pericolo reale, che non deve essere sottovalutato. Per questo motivo, oltre ai sopra citati requisiti minimi di sicurezza, occorrerà prevedere modalità di vendita che impediscano acquisti non consapevoli. Solo così saremo sicuri di avere introdotto una innovazione che tutelerà le possibilità di scelta di ognuno di noi. 

Maggiori informazioni su Genome Editing


domenica 6 dicembre 2015

A proposito di ricerca sulla vite OGM

Nella ricerca relativa agli OGM, molti Paesi obbligano i ricercatori a rendere pubblici i risultati della stessa. Da noi cosa succede? Nel nostro Paese, dove è risaputo che i 3/4 dei cittadini è contrario agli OGM in ambito alimentare, i ricercatori che lavorano in questo ambito non amano diffondere i risultati della loro ricerca. Peccato. In particolare, possiamo far riferimento ai risultati della ricerca sulla vite ogm ………………………………..

Non è stato così in Italia, dove la sperimentazione dell’Università delle Marche è stata condotta senza alcun confronto tra ricercatori, pubblico e parti sociali, isolandosi dal contesto delle reali esigenze del sistema vitivinicolo italiano. Difficile immaginare che questo modo di fare ricerca possa conciliarsi con l’esigenza dei cittadini di partecipare alla definizione delle finalità della scienza, con i bisogni reali dei consumatori in tema di sicurezza alimentare, ed infine con le scelte del sistema vitivinicolo italiano. Bisognerebbe quindi spiegare come mai l’università abbia ritenuto utile finanziare una ricerca lunga sette anni che probabilmente non avrà mercato, visto che l’uva transgenica non la mangerà nessuno."


Per fortuna che c’è la Fondazione Diritti Genetici
Tra le cose più interessanti riportate a proposito di una ricerca attuata dall’Università di Ancona sulla vite ………….………

1) La modifica apportata attraverso Agrobacterium tumefaciens ha consentito l’inserzione nel genoma della pianta ospite di due nuovi geni che codificano per due proteine aventi funzioni diverse:
- il costrutto defH9-iaaM-nos, codificante per l’enzima triptofano-2-monossigenasi, che catalizza l’ossidazione del triptofano a indolacetamide, precursore dell’auxina IAA;

- il costrutto nos-nptII-nos, codificante per l’enzima neomicina fosfotrasferasi II, che catalizza la fosforilazione della Kanamicina
Come conseguenza della modificazione genetica le PGM presentano i seguenti nuovi caratteri:

- fenotipo partenocarpico: capacità di allegare e completare la maturazione dei frutti in assenza di fecondazione;

- fenotipo tolleranza l’antibiotico Kanamicina: capacità di crescere in vitro su terreno di coltura contenente Kanamicina e di non mostrare clorosi sulle foglie quando spruzzate con una soluzione di Kanamicina .


2) Interazioni con l’ambiente

La ridotta efficienza di germinazione della varietà Silcora e la caratteristica assenza di semi della varietà Thompson non hanno permesso di studiare il flusso genico verticale intraspecifico tra le VGM e i rispettivi controlli presenti nell’appezzamento sperimentale. Non sono stati effettuati studi sul trasferimento genico orizzontale verso i microrganismi del suolo ne tantomeno le possibili interazioni della pianta con le micorizze (intensità della micorrizzazione, frequenza degli arbuscoli radicali ecc).


3) Considerazioni sulla notifica

I risultati della sperimentazione hanno confermato, come dimostrato in diversi lavori condotti su altre specie , che l’espressione del costrutto genico defH9-iaaM-nos da cui ne consegue l’aumento dell’auxina IAA nell’ovario, può contribuire ad aumentare la produttività delle piante, aumentando sia il numero di infiorescenze per pianta, che il numero di fiori per infiorescenza oltre che il peso dei frutti. Per quanto riguarda il clone della varietà GM di Thompson, le differenze di produzione totale rispetto al controllo non GM sono dovute sia ad un maggior numero di grappoli e di acini per grappolo che alla maggior lunghezza e larghezza dei grappoli. Per quanto riguarda invece i due cloni GM di Silcora, l’incremento di produzione totale è stato causato da un aumento di acini per grappolo, mentre non sono state riscontrate sostanziali differenze per quanto riguarda sia il numero di grappoli che la loro lunghezza e larghezza. Anche per l’analisi dei mosti, i dati ottenuti dai cloni delle due varietà GM testate sono stati alquanto discordanti. Infatti, mentre il clone di Thompson presentava una minor acidità totale e, seppur lievemente, un maggior contenuto di zuccheri rispetto al controllo, nei dati ottenuti nel clone di Silcora GM la situazione era opposta.  
I dati ottenuti non permettono di chiarire quali siano le cause di tali differenze che potrebbero essere imputabili sia a una variazione naturale dovuta al background genico delle stesse cultivars, oppure a cause conseguenti ad effetti indesiderati della trasformazione genica. Infatti, oltre a non essere stato valutato il profilo di espressione del costrutto genico defH9-iaaM-nos, anche l’analisi molecolare condotta non è in grado di escludere la presenza di mutazioni genomiche che potrebbe avere effetti indesiderati sul fenotipo della pianta ospite. La sola analisi Southern effettuata per valutare la presenza nel genoma di sequenze indesiderate può sottostimare le possibili mutazioni, delezioni o riarrangiamenti nel sito di inserzione conseguenti alla trasformazione genetica. Al fine di evitare effetti indesiderati e potenzialmente dannosi sul fenotipo della pianta ospite, un’accurata caratterizzazione delle possibili mutazioni nel sito di inserzione dovrebbe prevedere la comparazione tra la sequenza transgenica utilizzata per la trasformazione e la sequenza target della pianta non transgenica prima dell’inserzione.
A livello molecolare non è inoltre stata valutata la stabilità del transgene, importante per verificare la possibilità per la pianta di mantenere il fenotipo desiderato nelle generazioni successive oltre che per evitare effetti indesiderate conseguenti alla modificazione genetica.
A livello ambientale non è stato monitorato il flusso genico verticale verso le varietà di vite non GM, ed, inoltre, non sono state effettuate analisi degli effetti del transgene e del prodotto transgenico sul suolo.


In definitiva:

- la trasformazione è stata attuata con marcatori antibiotici;

- non è stato possibile studiare gli effetti sull’ambiente;

- sono stati ottenuti risultati diversi per 2 cultivar, ma, parole loro “I dati ottenuti non permettono di chiarire quali siano le cause di tali differenze che potrebbero essere imputabili sia a una variazione naturale dovuta al background genico delle stesse cultivars, oppure a cause conseguenti ad effetti indesiderati della trasformazione genica.

http://www.fondazionedirittigenetici.org/vitevita/documenti/22_relazione%20attivita%20notificab_it_99_26.pdf

http://www.fondazionedirittigenetici.org/vitevita/documenti/9_Mezzetti%20et%20al%202002.pdf

http://www.fondazionedirittigenetici.org/vitevita/documenti/10_mezzetti%20et%20al%202004.pdf

http://www.fondazionedirittigenetici.org/vitevita/documenti/54_7_Costantini%20et%20al_2007.pdf

http://www.fondazionedirittigenetici.org/vitevita/documenti/55_The%20DefH9-iaaM%20in%20table%20grape.pdf