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venerdì 29 novembre 2013

Coesistenza “mais OGM” e “mais convenzionale”, a cosa dovremo rinunciare?

I sostenitori del “mais OGM” affermano che la coesistenza con altre produzioni di mais sarebbe possibile, in quanto il mais non ha parentali selvatiche nel nostro Paese, per cui sarebbe sufficiente controllare con idonee distanze di sicurezza la diffusione del polline dai campi coltivati con piante OGM agli altri campi limitrofi “non OGM”…………..è ancora aperta la discussione su chi dovrà sostenere i maggiori oneri di queste “fasce tampone”. Ovviamente i fautori del “mais OGM” dicono che questi maggiori oneri li dovranno sostenere coloro che vogliono produrre “mais OGM free o biologico”, al contrario i coltivatori di mais convenzionale affermano che questi maggiori oneri li dovranno sostenere coloro che vogliono coltivare “mais OGM”. E’ questa la “vexata quaestio”, in quanto i sostenitori del “mais OGM” sanno benissimo che nel caso in cui fossero loro a dover sostenere gli oneri della coesistenza, non ci sarebbe alcun vantaggio economico. Vantaggio economico che si annulla completamente nei Paesi dove è prevista la separazione di filiera tra “mais OGM” e “mais convenzionale”, poiché i costi di coesistenza (aree tampone nei campi coltivati, pulizia delle macchine per la semina e la raccolta, conservazione in specifici silos, analisi genetiche di certificazione, specifica etichettatura degli alimenti, ecc.), anche ad un primo sommario giudizio, sono sicuramente superiori al vantaggio economico ottenibile dalla coltivazione in campo. Che sia chiaro, fino a quando il consumatore richiederà l’etichettatura degli alimenti OGM, ad esclusione delle ditte che vendono il seme, non ci sarà alcun vantaggio economico per nessuno.
Anche nel caso di coesistenza, noi consumatori, in relazione al fatto che sarà impossibile avere la certezza di produrre “mais OGM free”, dovremo comunque rinunciare a qualcosa. In particolare, pur nella consapevolezza che il 90% del mais prodotto in Italia è destinato all’alimentazione animale e ai digestori per produrre energia elettrica (Zea mays sub-sp. indentata), dovremo comunque rinunciare ad avere la certezza che gli alimenti derivanti da altre tipologie di mais (per uso alimentare umano) siano effettivamente “OGM free”, poiché l’inquinamento genetico prodotto dal “mais OGM” è solo in parte controllabile.  
In Italia le superfici investite a mais sono dell’ordine di 1 milione di ettari (per averne un’idea, 1/30 della superficie nazionale), che originano una produzione di circa 10 milioni di tonnellate, destinate, come si è detto, per oltre il 90% all’alimentazione animale e ai digestori per biogas. Rimangono 1 milione di tonnellate (1miliardo di kg) destinati alle utilizzazioni più disparate, compresa l’alimentazione umana. Dalla lavorazione della granella di mais si ricavano:
Prodotti alimentari: olio, farine per pane, polenta, zucchero, biscotti, ecc.;
Bevande alcooliche come birra e liquori;
Prodotti farmaceutici come acetone, aldeide acetica, acido citrico, acido lattico, acido fumarico, ecc.;
Prodotti dell’industria cartaria, tessile, ceramica e di quella delle vernici e degli esplosivi.
Per quanto attiene ai prodotti alimentari, si tratta soprattutto di mais particolari, che spesso sono rappresentati da prodotti tipici di un territorio (mais otto file, mais bianco, ecc.). Così, per esempio abbiamo le seguenti sottospecie di mais destinate per la gran parte all’alimentazione umana diretta:
- Zea mays sub-sp. everta: mais da far scoppiare (pop-corn).Raggruppa tipi primitivi, con piante prolifiche e accestite, portanti spighe piccole e numerose. Le cariossidi sono molto piccole (1.000 pesano 100 grammi e meno), hanno endo­sperma completamente vitreo, traslucido, molto proteico e se riscaldate «scoppiano» aumentando assai di volume e formando una massa bianca e porosa (pop-corn).
- Zea mays sub-sp. indurata: mais vitreo o plata («flint corn»). Ha cariossidi tondeggianti, con endosperma farinoso all'interno e corneo tutt'intorno. Moltissimi mais europei di antica introduzione appartengono a questo tipo. Questo mais è preferito nell'alimentazione umana e in avicoltura («Plata»).
- Zea mays sub-sp. amylacea: mais amilosico («soft corn»). Deriva da mutazioni che inducono modificazioni nella costituzione dell'amido (prevalenza di amilosio rispetto all'amilopectina) ed è destinato a specifiche preparazioni alimentari.
- Zea mays sub-sp. saccharata: mais zuccherino («sweet corn»). L'endosperma contiene poco amido e molti carboidrati solubili. Le spighe raccolte alla maturazione latteo-cerosa, costituiscono un ortaggio apprezzato da consumare fresco in insalata o inscatolato.
Come si è potuto notare, sono tante le sottospecie di mais…….…..mais non è solo quello destinato all’alimentazione animale, esistono sottospecie di mais destinate all’alimentazione umana diretta e non solo mediata dagli animali.
Le domande che ci possiamo porre sono le seguenti:
-         è giusto che con l’introduzione di “mais OGM” non sia più possibile avere a disposizione per l’alimentazione umana mais delle precedenti sottospecie sicuramente esente da OGM?”

-         è giusto che la presenza di “mais OGM” metta in difficoltà i coltivatori e gli utilizzatori di mais tradizionale?


-         è giusto che le incertezze produttive determinate dalla presenza del “mais OGM” possa determinare nel lungo periodo la scomparsa delle produzioni tipiche di mais tradizionale di un territorio?

sabato 23 novembre 2013

In Friuli Venezia Giulia una petizione a favore del mais OGM

Una petizione pro mais OGM sottoscritta da 400 imprenditori agricoli e' stata recentemente consegnata  al Presidente del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia. In relazione alla definizione delle “Regole di coesistenza”, i firmatari hanno fatto presente che nelle campagne del Friuli Venezia Giulia è prassi consolidata la coltivazione simultanea di mais bianco e di mais giallo, che ha consentito la pacifica coesistenza fra imprenditori che perseguono i loro diversi obiettivi economici, senza che si sia mai creato alcun contenzioso giudiziario. Proprio in considerazione di questa secolare pratica, i firmatari sottintendono che non è necessaria alcuna regola di coesistenza tra mais convenzionale, mais OGM e mais Biologico, poiché ci penserà il mercato ad appianare ogni divergenza.
Si tratta a mio parere della solita “mezza verità” raccontata da chi, senza argomentazioni specifiche e senza alcun timore per le conseguenze che la scelta transgenica può avere sull’economia agro-industriale di un territorio, vuole adottare una tecnologia fortemente pervasiva, che non offre possibilità di coesistenza, poiché se è vero che con il mais OGM la coesistenza tecnica potrebbe anche essere possibile, in quanto il mais nel nostro Paese non ha parentali selvatiche, è altrettanto vero che non sarebbe possibile una coesistenza economica, in quanto il mais OGM modificherebbe quell’equilibrio economico che caratterizza attualmente il settore. In particolare, non essendoci etichettatura dei derivati (carne, latte, uova, ecc.) da mangimi OGM, dopo pochi anni, anche i coltivatori che volevano mantenersi “OGM free” saranno costretti dal mercato a coltivare OGM, poiché altrimenti coltiverebbero ai costi del convenzionale (più alti del transgenico), per poi vendere ai prezzi del transgenico.


Occorre poi far rilevare che il paragone “mais giallo/mais bianco” portato ad esempio di pacifica coesistenza dai promotori degli OGM in Friuli Venezia Giulia, non regge. In particolare, per i non addetti ai lavori, il “mais giallo” è quello destinato all’alimentazione animale (la quasi totalità delle coltivazioni), mentre il “mais bianco” è destinato all'alimentazione umana diretta per la produzione di particolari polente (anche in questo caso la quasi totalità). Perchè il paragone non regge? Non regge per il semplice fatto che per la gran parte della produzione di "mais bianco" non esistono soglie di tolleranza per il prodotto fecondato da polline di "mais giallo convenzionale". Pertanto il prodotto ottenuto può essere venduto senza specifica etichettatura, così come previsto per gli OGM. Diverso è il discorso relativo alla possibilità che il mais bianco destinato all'alimentazione umana sia fecondato da polline di mais OGM. In questo caso, se la percentuale di produzione finale supera lo 0,9%, il mais bianco dovrà essere etichettato come "alimento OGM" e saremmo quasi sicuri che non avrà mercato e che non ne sarà venduto un chicco!
Se si vuole avere un'idea di quello che già accade sul mercato del mais nel caso di "inquinamento genetico", è possibile portare ad esempio la coltivazione del "mais waxy". In particolare, il “mais waxy”, è caratterizzato da un’altissima percentuale di amilopectina (99%) ed una bassa quantità di amilosio (1%, rispetto al 25% del “mais giallo”), per cui è destinato a specifici usi industriali e per questa ragione gli ibridi di "mais waxy" vengono coltivati solo su contratto di coltivazione con l’industria di trasformazione. Tale contratto di coltivazione, nella fissazione del prezzo tiene conto del fatto che una parte della produzione sarà inquinata dal polline del “mais giallo convenzionale” e dovrà essere eliminata (di solito sono le 8-10 file perimetrali del campo coltivato) e destinata al mercato del “mais giallo”. Pertanto, anche il prezzo fissato nel contratto di coltivazione tiene conto di questa eventualità, con un “premio di coltivazione” che è dell’ordine di 10-20 euro/Tonnellata…….più o meno 150-300 euro/ettaro, che oggigiorno sono “gran soldi” in agricoltura (1).
In conclusione, la coesistenza tra "mais convenzionale" e "mais OGM" potrebbe anche essere possibile, ma è necessario che il mercato possa essere in grado di valorizzare la differenza esistente tra i due prodotti. Purtroppo, la possibilità di utilizzare nell'allevamento mangimi OGM, senza specifica etichettatura dei derivati ottenuti (carne, latte, uova, ecc.), impedisce al consumatore una scelta consapevole, per cui sarà impossibile dare un valore diverso ai mangimi OGM e a quelli convenzionali.   



(1) Occorre, però, considerare che rispetto al “mais giallo” il costo di coltivazione del “mais waxy” è leggermente maggiore………altrimenti tutti coltiverebbero “mais waxy”. 

martedì 19 novembre 2013

Il prezzo di mercato della “soia OGM” è inferiore al prezzo della “soia OGM free”


Tra gli elementi che devono essere considerati per valutare la convenienza ad introdurre una determinata coltivazione, oltre al costo dei mezzi tecnici e delle operazioni colturali, di estrema importanza è anche il prezzo di vendita sul mercato.
Per quanto riguarda la soia, l’unico prodotto per il quale al momento il mercato consente di operare un giusto confronto, il prezzo di mercato della “soia OGM free” è sicuramente superiore a quello della “soia OGM”.
Per operare questo confronto è sufficiente osservare il Bollettino della Borsa Merci di Bologna, l’unica Borsa Merci che riporta dati tra loro confrontabili, stessa materia prima “OGM” e “non OGM”.


E’ interessante notare il diverso prezzo, sempre superiore, dei trasformati di soia non derivanti da OGM, rispetto a quelli OGM. In particolare:
- Soia tostata integrale Estera non derivante OGM…………...…….497/498 €/T
- Soia tostata integrale Estera………………………….…………….474/475 €/T

Una differenza di 24/25 €/T, pari al 5% circa.

- Soia tostata Decorticata estera non derivante OGM………….……540/542 €/T
- Soia tostata Decorticata estera……………………….……….…….478/480 €/T

Una differenza di 60/62 €/T, pari all’11% circa.

Qualcuno, osservando Bollettini Merci che riportano prezzi di soia nazionale (non OGM) più bassi della soia estera (probabilmente OGM), afferma, erroneamente, che non è vero che la “soia OGM free” ha un prezzo superiore alla “soia OGM”, anzi è vero il contrario. Trattasi di un confronto errato, che non è fattibile, in quanto si tratta di due prodotti completamente diversi, caratterizzati da un contenuto proteico diverso. In particolare, la soia nazionale costa meno della soia di importazione perchè ha un contenuto proteico intorno al 43% e non perchè non è OGM, mentre la soia estera costa di più di quella nazionale perchè ha un contenuto proteico intorno al 49% e non perchè è OGM.

venerdì 15 novembre 2013

Coesistenza tra piante OGM e piante “non OGM”: a chi spettano i costi di coesistenza?

Il problema è sicuramente attuale…….nel caso di coesistenza tra “piante non OGM”, siano esse convenzionali o biologiche, e “piante OGM”, e soprattutto nel caso in cui uno Stato preveda l'etichettatura degli alimenti derivati, ci sarà sicuramente un generalizzato aumento dei costi di coltivazione per le diverse tipologie produttive (non OGM, OGM e biologico), in relazione alle aree di rispetto, alla pulizia delle attrezzature di lavorazione e di raccolta, ai costi di segregazione, ecc.
Una domanda sorge spontanea: a chi spettano i maggiori costi di coesistenza? Agli agricoltori "non OGM” o agli agricoltori che vogliono introdurre gli OGM sul territorio nazionale? La risposta non è semplice, poiché ognuno di essi dirà che dovranno essere gli altri a sostenere i costi di coesistenza.
  Al fine di rispondere a questa domanda è necessario focalizzare l’attenzione sulle caratteristiche di ogni diversa forma di agricoltura e sui conseguenti danni che ne possono derivare nel caso di coesistenza.
Per l’agricoltore convenzionale la presenza di polline transgenico che può inquinare la sua produzione non OGM deve essere evitata, ma non costituisce un grande problema, poiché non ha una dotazione particolare di macchine da ammortizzare. L’importante è che questa soglia di inquinamento non superi la soglia dello 0,9%, così come previsto dalla Legge sull’etichettatura, per non avere una riduzione di prezzo. Nel caso in cui, invece, questa soglia superasse lo 0,9% ecco che si presentano una serie di danni per l’agricoltore convenzionale, che sarà costretto a vendere sul mercato del transgenico la sua produzione convenzionale (ha sostenuto i costi del convenzionale, per poi vendere ai prezzi, più bassi, del transgenico).
Diverso è il discorso per l’agricoltore biologico, che ha fatto le siepi intorno alla sua azienda agricola, si è dotato di macchine particolari per effettuare la “falsa semina” e per l’esecuzione dei trattamenti antiparassitari con prodotti naturali, si è dotato di strutture particolari per l’allevamento degli animali biologici, si è dotato di macchine particolari per la trasformazione dei prodotti agricolo/zootecnici, ha sopportato i minori introiti del periodo di conversione, si è sottoposto ai controlli previsti dalla Legge………..tutto questo comporta maggiori costi, con la speranza di poter ottenere maggiori prezzi di vendita, che non otterrà se il suo prodotto sarà anche in parte OGM. Con ogni probabilità il prodotto biologico inquinato da OGM non sarà accettato dalla filiera biologica e dovrà essere venduto sul mercato del convenzionale. Se poi il livello di inquinamento supererà lo 0,9%, anche questo prodotto che doveva essere biologico, dovrà essere venduto sul mercato del transgenico, con indubbi maggiori perdite negli incassi.
Chi guadagnerà da questa situazione? Gli unici che guadagneranno saranno i coltivatori di piante OGM, che vedranno aumentare i costi e le difficoltà produttive di chi fa agricoltura convenzionale e/o biologica e vedranno divenire maggiormente competitive le loro produzioni.

In una situazione come quella delineata, anche al fine di ristabilire una determinata concorrenza di mercato, è necessario che siano gli agricoltori che intendono coltivare OGM a sostenere i costi di coesistenza…….se così non fosse, dopo pochi anni le coltivazioni “non OGM”, convenzionale e biologica, scomparirebbero.

Quando il mercato ci fa fare cose assurde, ovvero “mais non OGM” per scopi energetici e “mais OGM” per l’allevamento zootecnico.

Che sia subito chiaro, nessuno vuole insinuare che i derivati (carne, latte, uova, ecc.) ottenuti dall’allevamento zootecnico mediante l’utilizzazione di “mais OGM” siano diversi da quelli normalmente ottenuti con mais convenzionale, fatto ancora da dimostrare con certezza. Quale è l’obiezione? o quantomeno, quale è la contraddizione?      La contraddizione è che oggigiorno la produzione nazionale di mais convenzionale, in quanto nel nostro Paese è vietato coltivare OGM, è destinata in larga parte alla produzione di energia elettrica e non di alimenti, mentre per sopperire al fabbisogno mangimistico per uso zootecnico a scopi alimentari, facciamo largo uso di materiale OGM di importazione.
Qualcuno penserà una cosa assurda, invece è proprio così, in relazione alle regole di mercato che ci siamo dati……regole di mercato sicuramente da riscrivere.
In particolare, in Italia è vietato coltivare piante OGM, ma non è vietato importarle per destinarle all’alimentazione animale. Già questo fatto è assurdo e determina una sorta di concorrenza sleale tra gli stessi allevatori, in quanto i mangimi OGM hanno un costo decisamente più basso di quelli certificati “OGM Free”, mentre i prodotti ottenuti dalla trasformazione hanno lo stesso prezzo. In pratica chi utilizza mangimi OGM, spende di meno e incassa lo stesso prezzo per i derivati ottenuti……veramente assurdo……tra qualche anno assisteremo sicuramente a proteste di piazza per questo fatto, poiché anche gli allevatori che non vogliono adottare gli OGM, saranno costretti a farlo dal mercato, in quanto i margini si restringeranno sempre più (pure loro tengono famiglia).
Se qualcuno pensa che questo non sia vero è sufficiente osservare il bollettino della “Borsa Merci di Bologna”.
Per il mais il confronto tra convenzionale e OGM non è fattibile, in quanto il bollettino non riporta specificamente prezzi diversi per la granella, anche in relazione al fatto che il mangime viene importato sottoforma di farina. E’ possibile, invece, il confronto con la soia, poiché il bollettino riporta esplicitamente prezzi diversi per derivati di soia di importazione estera (quasi tutta OGM) o derivati certificati “OGM Free”. In particolare, il bollettino del 14 novembre 2013 riporta i seguenti prezzi:

                                                         
FARINE VEGETALI DI ESTR. (2)
Soia tostata integ. Nazion. (prot. 44% stq)
14 novembre 2013
476,00
477,00
7 novembre 2013
478,00
479,00
-2,00
-2,00
Soia tostata integ. estera (prot. 44% stq)
14 novembre 2013
474,00
475,00
7 novembre 2013
476,00
477,00
-2,00
-2,00
Soia Tostata integ. Naz. non deriv. OGM
14 novembre 2013
499,00
500,00
7 novembre 2013
489,00
490,00
10,00
10,00
Soia Tostata integ. Estera non deriv. OGM
14 novembre 2013
497,00
498,00
7 novembre 2013
487,00
488,00
10,00
10,00
Soia Tostata Decorticata naz.
14 novembre 2013
481,00
483,00
7 novembre 2013
486,00
488,00
-5,00
-5,00
Soia Tostata Decorticata estera
14 novembre 2013
478,00
480,00
7 novembre 2013
483,00
485,00
-5,00
-5,00
Soia Tostata Decorticata naz.non deriv. OGM
14 novembre 2013
543,00
545,00
7 novembre 2013
533,00
535,00
10,00
10,00
Soia Tostata Decorticata est.non deriv. OGM
14 novembre 2013
540,00
542,00
7 novembre 2013
530,00
532,00
10,00
10,00

E’ interessante notare il diverso prezzo, sempre superiore, dei trasformati di soia non derivanti da OGM, rispetto a quelli OGM. In particolare:
-         Soia tostata integrale Estera non derivante OGM………….497/498 €/T
-         Soia tostata integrale Estera………………………….…….474/475 €/T

Una differenza di 24/25 €/T, pari al 5% circa.

-         Soia tostata Decorticata estera non derivante OGM………….540/542 €/T
-         Soia tostata Decorticata estera……………………….……….478/480 €/T

Una differenza di 60/62 €/T, pari all’11% circa.

Da questi elementi possiamo porci una domanda: fino a quando gli allevatori che utilizzano mangimi convenzionali saranno disposti a produrre i loro derivati zootecnici (carne, latte, uova, ecc.) ai costi del convenzionale, per poi vendere ai prezzi del transgenico?

domenica 10 novembre 2013

Lettera aperta al dott. Macrì, che ha provato a dare una informazione disinteressata sugli OGM

Gent. dott. Macrì,
il Suo sforzo è sicuramente apprezzabile, poichè sono 20 anni che si parla di OGM in Italia e ancora, purtroppo, non ne siamo venuti fuori.


Mi dispiace, però, farle notare che il Suo documento contiene una serie di inesattezze, che non contribuiscono certo ad impostare una discussione serena e tranquilla sull'argomento, come Lei vorrebbe.
Sul Creso lasciamo perdere, anche se, a mio parere, questa si chiama disinformazione. Nella Sua presunta obiettività, non può far credere ai comuni cittadini che sono decine di anni che mangiamo OGM......non è vero! Purtroppo il frumento duro Creso non rientra nella fattispecie prevista dalla vigente legislazione. Se poi Lei è in grado di cambiare le leggi, tutti quanti saremo d'accordo nel definire il Creso un OGM.

Nel Suo documento, ci sono poi una serie di inesattezze, guarda caso tutte favorevoli all’introduzione degli OGM o, quantomeno, idonee a formare un'opinione favorevole agli OGM da parte del lettore:

- non è vero che la pianta è indenne agli insetti fitofagi, gli insetti dopo poche generazioni maturano una resistenza genetica alla tossina Bt;


- non è vero che un unico trattamento diserbante elimina le erbe infestanti. Negli USA, a causa della massiccia utilizzazione dello stesso diserbante le erbe infestanti hanno maturato una resistenza genetica al diserbante. C’è poi il problema delle piante coltivate che diventano infestanti. C’è poi il problema del passaggio del transgene alle parentali selvatiche;


- le piante che resistono nel tempo alla conservazione non esistono. Avevano fatto il pomodoro, ma l’hanno ritirato dal mercato perchè aveva un sapore metallico, in pratica faceva schifo;

- le piante OGM che resistono ad ambienti avversi (caldo, freddo, sale, ecc.), purtroppo, ancora non esistono. Ma Lei pensa che se esistessero non sarebbero adottate e ci sarebbero opinioni contrarie?

- le piante con più vitamine, tipo Golden Rice o pomodoro arricchito di vit. A, non esistono. Tenga poi presente che il pomodoro arricchito di vit. A, prodotto italiano, ha un minor contenuto di licopene…..è la solita coperta stretta. Poi sappiamo benissimo che, soprattutto nel caso di vitamine liposolubili, è dannosa per la salute sia una carenza di vitamine, sia un eccesso delle stesse;

- le piante OGM che non contengono allergeni ancora non esistono;

- le piante OGM che producono farmaci sono farmaci e non alimenti, non possiamo metterle nello stesso capitolo. Ma Lei crede che i contrari agli OGM alimentari siano contrari all’insulina transgenica? 

- ben vengano microrganismi che producono farmaci, ma non sono alimenti.

Dott. Macrì, mi consenta, un documento mediocre, che non contiene proposte condivisibili. Per esempio avesse scritto che gli OGM per essere accettati devono, ripeto devono, avere il transgene nei cloroplasti, che devono avere promotori inducibili e che non devono avere marcatori antibiotici……forse avrebbe dato un contributo all’adozione degli OGM.
Macrì, mi scusi, ma devo essere molto franco…..un documento che non apporta nulla alla discussione in atto e che, probabilmente, è destinato a quel 20% di consumatori che sono favorevoli agli OGM.

venerdì 8 novembre 2013

COESISTENZA OGM/CONVENZIONALE: VALUTAZIONE DEI DANNI

Ogni imprenditore deve essere libero di coltivare per il mercato ciò che ritiene più conveniente e/o più opportuno!” E’ questa, con ogni probabilità, la considerazione sulla base della quale l’Unione Europea, e conseguentemente il nostro Paese, prevede l’emanazione di specifiche norme per la coesistenza tra coltivazioni convenzionali e coltivazioni transgeniche. Trattasi, ovviamente, ed in termini generali, di una considerazione accettabile, con una semplice differenza nel caso degli OGM, in quanto se “è vero che non si può impedire a chi vuol coltivare transgenico di farlo, è altrettanto vero che non si può obbligare a coltivarli coloro che non li vogliono coltivare”. Tale considerazione è dettata dal fatto che questi “nuovi organismi viventi” hanno transgeni inseriti nel nucleo, che si esprimo in ogni parte della pianta (polline, foglie, radici, ecc.) e, pertanto, originano “inquinamento genetico” (il polline di queste piante si diffonde autonomamente nell’ambiente e può fecondare piante convenzionali, che, nel caso in cui il prodotto per il mercato sia costituito dal seme, originano una produzione che in parte deve essere considerata transgenica). In termini generali l’inquinamento genetico può verificarsi e rimanere circoscritto alle piante coltivate (per esempio tra mais transgenico e mais coltivato), ma può diffondersi anche tra piante coltivate e altre piante parentali selvatiche infestanti (per esempio tra colza transgenica e senape selvatica). Nel primo caso, con i dovuti e costosi accorgimenti,  l’inquinamento genetico, con ogni probabilità, potrebbe anche essere “controllato” (adeguate distanze tra campi OGM e campi convenzionali, specifiche misure agronomiche, barriere fisiche, ecc.), mentre nel secondo caso l’inquinamento genetico sarebbe di tipo pervasivo, in quanto la “pianta infestante transgenica” si diffonderebbe autonomamente nell’ambiente (col vento, con gli animali, con l’acqua, ecc.), anche a distanza di chilometri, ed il suo polline in annate successive andrebbe a fecondare “piante parentali coltivate”, che darebbero così origine ad una produzione che, in parte, sarebbe transgenica.  
La problematica introdotta precedentemente non è di poco conto, poichè nel caso di coesistenza, e soprattutto nel caso in cui l’inquinamento genetico provocasse dei danni di tipo economico, verrebbe meno quella certezza “causa/effetto” in grado di risolvere contenziosi di tipo giudiziario, tra “inquinatori e inquinati”. In particolare, mentre nel caso di piante coltivate che non hanno parentali selvatiche sarebbe semplice individuare la fonte dell’inquinamento (con ogni probabilità il campo coltivato confinante con piante transgeniche), la stessa cosa non si può dire nel caso di piante coltivate che possono essere fecondate dal polline di parentali selvatiche. Chi ha causato l’inquinamento? Il confinante che coltiva OGM, oppure il polline presente nell’ambiente delle parentali selvatiche? Le sentenze dei Giudici potranno avvalersi di elementi di certezza, oppure no? E’ ovvio che nel secondo caso gli elementi di incertezza non porteranno ad individuare un “colpevole certo”, per cui nel dubbio.................. 
Da un punto di vista pratico la domanda è la seguente: “è possibile la coesistenza tra coltivazioni agricole convenzionali (comprese quelle biologiche) e coltivazioni transgeniche?” Allo stato attuale delle cose, in relazione alle caratteristiche del materiale transgenico disponibile, che, come si è detto in precedenza, presenta transgeni inseriti nel nucleo, che si esprimono in ogni parte della pianta (polline compreso), la risposta è negativa, in quanto queste piante originano inquinamento genetico. Ecco allora che, nel caso di coesistenza, il settore produttivo che non intende produrre piante transgeniche, soprattutto nel caso di accordi contrattuali con gli utilizzatori del prodotto ottenuto dalla coltivazione, dovrà mettere a punto adeguate strategie agronomiche di contenimento dell’inquinamento genetico (sementi certificate, macchine apposite per la raccolta e per il trasporto, specifici luoghi di stoccaggio del raccolto, ecc.), al fine di poter avere “certezze” in merito alle caratteristiche qualitative del prodotto finale che intende avviare sul mercato. E’ ovvio che queste “certezze” hanno un costo, per cui, come minimo, la coesistenza tra coltivazioni transgeniche e coltivazioni convenzionali, comporterà sicuramente una lievitazione dei costi di produzione agricoli (non è ancora chiaro chi dovrà sostenere questi maggiori costi, ma si spera coloro che vogliono produrre transgenico), che potrebbe abbassare, se non addirittura annullare, i benefici economici ottenibili dalla coltivazione di materiale transgenico. E’ un primo effetto economico di una certa rilevanza, in quanto trattasi di un costo annuale, che dovrà essere sostenuto all’infinito o, quantomeno, sino al momento in cui la nostra società deciderà che l’etichettatura degli alimenti OGM non è più necessaria e verrà creata un’unica filiera di distribuzione per alimenti convenzionali e OGM.  Solo allora non saranno più necessarie norme che regolano la coesistenza, per cui le piante transgeniche si diffonderanno normalmente, così come ogni nuova pianta oggigiorno ottenuta attraverso metodiche di miglioramento genetico convenzionale. E’ ovvio che se verrà meno la separazione di filiera e l’etichettatura, le uniche piante che saranno coltivate saranno quelle transgeniche, in quanto accreditate di un minor costo di produzione.
Con la coesistenza, occorrerà poi considerare anche gli eventuali effetti di mercato (abbassamento dei prezzi, difficoltà di collocamento della merce, ecc.), poiché è vero che si avranno maggiori costi di produzione a livello agricolo, ma l’effetto più pericoloso potrà essere quello di vedersi rifiutare il prodotto da parte del consumatore interno o da parte dell’importatore estero, che ancora esige un alimento completamente esente da Organismi Transgenici (OT). Da questo punto di vista, nel caso in cui il nostro Paese riuscisse a realizzare filiere “OGM free”, vi potrebbero essere anche opportunità di mercato, indirizzate a soddisfare una domanda di “alimenti OGM free”, che per molti anni si manterrà ad un elevato livello.
Soprattutto per un Paese come il nostro, che produce prodotti trasformati di eccellenza (formaggi, insaccati, vini, ecc.), di alto valore aggiunto, i rischi di mercato sono sicuramente più importanti dei rischi produttivi agricoli, in quanto la qualità della materia prima di base potrebbe rappresentare un limite alla produzione di trasformati di eccellenza o, quantomeno, ritenuti tali dal consumatore. In particolare, è ovvio che se viene utilizzata materia prima transgenica, anche il prodotto trasformato sarà transgenico (di fatto, perché verificabile da una semplice analisi PCR, oppure “derivante” da OGM, nel caso in cui venga attuata la tracciabilità di filiera). E’ altrettanto ovvio che, se la legislazione lo prevede, questo prodotto dovrà essere etichettato come “contenente OGM” o “derivante da OGM”. Ecco che in questa situazione, al di là del fatto che gli OGM possano determinare anche effetti sui costi agricoli, gli scenari economici si faranno molto più complessi, in quanto si dovranno ipotizzare riduzioni di prezzo della materia prima e dei prodotti trasformati che non rispondono più alle esigenze dei consumatori, consumatori che non sono più disposti a pagare prezzi elevati per acquistare un prodotto che eccellente, secondo il loro metro di misura, non è più.
         E’ senz’altro vero che gli agricoltori di materia prima convenzionale subiranno maggiori costi, ma è altrettanto vero che anche i trasformatori di produzioni di eccellenza, che garantiscono un prodotto “OGM free”, subiranno maggiori costi (di approvvigionamento, di segregazione, di analisi, ecc.) e minori redditi (maggiori costi e non altrettanto maggiori prezzi, in quanto il prezzo di vendita sul mercato non potrà andare oltre certi livelli rispetto all’analogo  prodotto transgenico). Con ogni probabilità, gli unici che guadagneranno da questa situazione saranno i produttori di beni alimentari di scarsa qualità, che vedranno aumentare le difficoltà produttive di coloro che offrono prodotti di eccellenza (difficoltà nel reperimento della materia prima, maggiori costi di approvvigionamento, maggiori costi di analisi, minori prezzi di vendita rispetto agli incrementi di costo, ecc.) e vedranno divenire maggiormente competitivi i loro prodotti (in termini relativi se il prezzo dei prodotti di eccellenza aumenterà, il prezzo degli altri prodotti succedanei di minore qualità, pur rimanendo costante, è come se  diminuisse).
Trattasi, purtroppo, di uno scenario che si è già verificato. Ci si riferisce in modo particolare al settore dell’agricoltura biologica, nel quale gli agricoltori che hanno voluto garantire un alimento “libero da OGM” sono stati costretti a modificare le tecniche di produzione e a sostituire gli alimenti destinati al bestiame. L’esempio, a tutti noto, è quello della soia. A causa dell’inquinamento genetico determinato dalla “soia transgenica RR” molti agricoltori biologici nazionali hanno deciso, o sono stati costretti, di sostituire nell’alimentazione del bestiame la soia con il pisello proteico, che, come è risaputo, è caratterizzato da un prezzo di mercato superiore. Tale sostituzione ha sicuramente danneggiato gli agricoltori biologici, in quanto a fronte dei maggiori costi essi non hanno realizzato maggiori prezzi di vendita sul mercato (nel caso in cui essi abbiano realizzato maggiori prezzi, occorrerà considerare che il loro prodotto è divenuto meno competitivo rispetto a quelli convenzionali, per cui, con ogni probabilità, si è avuta una riduzione della domanda).

Come si è potuto notare dalle precedenti considerazioni, la coesistenza tra coltivazioni convenzionali e coltivazioni transgeniche aumenterà notevolmente le problematiche produttive e di mercato ed originerà sicuramente una grande mole di  contenzioso nella nostra società (aumenterà sicuramente il lavoro per gli avvocati). In particolare, non vi è alcun dubbio sul fatto che vi saranno dei danneggiati e dei danneggiatori. I danneggiati sono certi, in quanto hanno seminato materiale “non OGM” (certificato?) ed hanno ottenuto un raccolto che ad una analisi PCR risulta transgenico (saranno costretti  a vendere il prodotto ad un prezzo inferiore e/o dovranno risarcire i danni nel caso di rapporto contrattuale con utilizzatori terzi). La stessa cosa non si può dire per i danneggiatori, in quanto l’inquinamento genetico è pervasivo e non ha fonte certa (chi ha determinato il danno? La semente inquinata? l’agricoltore confinante che coltiva OGM? il polline portato dal vento da chilometri di distanza? le piante parentali selvatiche che col tempo sono divenute OGM? od altro ancora), per cui nel caso di contenzioso difficilmente un Giudice potrà esprimere un parere fondato su elementi di certezza. Permane comunque il fatto che un danno è stato provocato e che qualcuno sarà costretto a subirlo.
In termini generali, per danno deve intendersi qualsiasi effetto nocivo prodotto da individui terzi nei confronti di altre persone (siano esse persone fisiche o giuridiche) o di altre entità economiche (beni materiali, ma anche beni immateriali). Così, per esempio, se il danno riguarda la distruzione parziale o totale di un bene fisico, oggigiorno la casistica potrebbe essere veramente complessa e interessare un’enorme quantità di beni (danno emergente). Nel caso in oggetto il danno è causato dalla coesistenza tra agricoltura convenzionale, transgenica e biologica, che determina un raccolto che non ha le caratteristiche di quello che ci si aspettava di ottenere. In particolare, in termini pratici e secondo quanto rilevato dai bollettini delle principali Borse Merci, tale raccolto è caratterizzato da un prezzo di mercato inferiore a quello che ci si aspettava di ottenere.
Ci si trova in presenza di un danno anche quando si ha una diminuzione del reddito normalmente prodotto dal bene danneggiato (lucro cessante). Così, per esempio, a causa di un danno da inquinamento genetico, un campo coltivato a mais subisce una perdita di produttività per un certo numero di anni (a quanto ammonta il danno annuale subito?) Oppure, ancora, per l’ingrasso degli animali gli agricoltori biologici hanno dovuto sostituire le proteine della soia con quelle del pisello proteico, più costoso. Oppure, ancora, gli agricoltori biologici non sono più in grado di garantire una produzione esente da OGM, per cui sono costretti ad abbandonare l’agricoltura biologica, con tutti i danni conseguenti (danni di avviamento per il periodo di certificazione, danno per abbandono dei clienti che con tanta fatica si erano fatti, danno per lucro cessante a causa del fatto che non possono più attuare l’agricoltura biologica). A quanto ammontano i maggiori costi (di mancato ammortamento dei macchinari, di riconversione agricola, ecc.) e i minori redditi?

A questo punto, in un’ottica di globalizzazione dei mercati,  si inseriscono considerazioni di opportunità per il nostro Paese, in merito alla coesistenza produttiva e all’utilizzazione o meno di materiale di propagazione brevettato proveniente dall’estero, che origina alimenti che per il momento non sono graditi al consumatore e che possono determinare una diminuzione della competitività delle nostre produzioni. Un consumatore che oggigiorno sarebbe meglio chiamare “acquistatore”, in quanto controlla e verifica accuratamente il prodotto prima di acquistarlo e che oggigiorno tende a scartare prodotti che contengono OGM.
Per quale motivo il nostro Paese dovrebbe aprire al transgenico se il consumatore non lo vuole? Non risponde ad alcuna logica economica la strategia di voler immettere sul mercato  un bene che l’80% degli acquirenti ha detto di non voler acquistare. Perché la nostra agricoltura dovrebbe abbandonare una strategia sicura, basata sulla qualità, sulla tracciabilità e sulla sicurezza alimentare, per far posto ad una produzione omologante, sempre meno richiesta dal mercato? Potrà competere il nostro Paese sul mercato globale sulla base dei bassi costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita o, più realisticamente, potrà competere sulla base di produzioni di eccellenza ad alto valore aggiunto? Perché mai, in un’ottica di sviluppo sostenibile, dovremmo adattarci a coltivare prodotti “non ancora sicuri” per la salute umana e per l’ambiente, ben sapendo che questa strada è senza via di uscita a causa dell’inquinamento genetico?
         Sono interrogativi importanti, che, anche al di là di fattori economici,  meritano una risposta prima che sia intrapresa la via della coesistenza per il benessere del nostro Paese. In particolare, la contemporanea presenza di forme di agricoltura transgenica (con piante che hanno transgeni costitutivi) con forme di agricoltura convenzionali determina l’impossibilità da parte dell’agricoltore, anche nel caso in cui sostenga maggiori costi, di poter garantire una effettiva produzione “OGM free”, così come richiesto dal consumatore. In questa situazione alcune considerazioni sono necessarie relativamente alla possibilità che l’agricoltore metta in atto strategie di contenimento dell’inquinamento genetico:
-         all’agricoltore che non vuole coltivare transgenico conviene evitare l’inquinamento genetico? Con ogni probabilità gli converrà solo nel caso in cui sul mercato siano presenti tre prezzi del medesimo prodotto (prodotto OGM, prodotto con soglia di tolleranza inferiore allo 0,9%, prodotto “OGM free”). E’ ovvio che gli converrà evitare l’inquinamento genetico, e adotterà tecniche che comportano maggiori costi di produzione, solo nel caso in cui il prezzo di mercato del prodotto che otterrà (tutto da verificare, in quanto con l’inquinamento genetico non esiste la certezza di ottenere una produzione di un certo tipo) sarà in grado di remunerare questi maggiori costi. Nell’incertezza produttiva, con ogni probabilità, egli sceglierà di coltivare prodotto transgenico, in quanto è l’unico in grado di consentirgli di poter impostare una tecnica produttiva certa, con previsioni certe su ricavi e costi. Pertanto, in presenza di incertezza produttiva, si verrebbe a determinare una situazione simile a quella che ha visto l’esplosione delle superfici coltivate con piante transgeniche negli U.S.A., in Canada ed in altri Paesi dove queste produzioni sono considerate “Sostanzialmente Equivalenti” a quelle convenzionali. La presenza di un unico prezzo di mercato per prodotto OGM e per prodotto “OGM free” ha determinato una esplosione delle superfici coltivate con prodotto OGM, in quanto è quello caratterizzato dal minor costo di produzione;
-         l’agricoltore è sicuro che anche adottando determinate pratiche colturali potrà ottenere un prodotto realmente al di sotto della soglia di tolleranza? Purtroppo la risposta è negativa, in quanto sono talmente tante le possibilità di inquinamento genetico della produzione agricola, che difficilmente si potrà avere la certezza del risultato. Potrà accadere che nonostante gli sforzi operati dall’agricoltore il prodotto presenti soglie di OGM superiori allo 0,9%. Ecco allora che anche in questo caso difficilmente il nostro produttore adotterà pratiche colturali più costose nell’incertezza di concretizzare con un maggior prezzo il risultato della coltivazione. Ancora una volta sceglierà di produrre transgenico;
-         chi pagherà i maggiori costi? Nel caso delle produzioni “OGM free” il mercato offre spunti di riferimento, in quanto attualmente queste produzioni sono caratterizzate da prezzi superiori al prodotto convenzionale dell’ordine del 10% circa. E’ ovvio che queste maggiorazioni di prezzo ricadranno sul consumatore, il quale si troverà costretto a pagare di più il precedente prodotto convenzionale, per il sol fatto che qualcuno ha voluto introdurre un alimento del quale ancora non sono note le reali capacità  produttive, nutrizionali e ambientali.


In conclusione, la coesistenza tra produzioni transgeniche e convenzionali determinerà un ampliamento delle problematiche produttive e decisionali per l’agricoltore. E’ ovvio che in una situazione di incertezza in cui non sarà possibile determinare a priori la qualità del prodotto finale ottenuto (“OGM free”, “OGM” o “OGM free all’interno di una soglia di tolleranza dello 0,9%”), il produttore agricolo sarà portato a sostituire le produzioni convenzionali con quelle transgeniche, in quanto saranno le uniche che offriranno certezza nei costi di produzione e nei prezzi di vendita (in pratica egli sarà portato a non rischiare di coltivare con i costi del convenzionale, per dover poi vendere ai prezzi del transgenico). Ancora una volta “la moneta cattiva scaccerà quella buona”.

Il Ministro dell'Ambiente Andrea Orlando e la libertà per ogni stato membro di non coltivare OGM

Il Ministro dell'Ambiente, Andrea Orlando, ha commentato la richiesta inviata dalla Commissione di Bruxelles al Consiglio Europeo dei Ministri di avviare un nuovo dibattito sulla cosiddetta "proposta sulla coltivazione", sulla quale il Parlamento Europeo ha già espresso il proprio parere. La proposta consentirebbe agli Stati membri di limitare o di vietare la coltivazione di Ogm sul proprio territorio per motivi diversi dalla tutela contro i rischi per la salute e l'ambiente, come per esempio le specificità delle singole nazioni. Il Ministro ha affermato che "La proposta della Commissione europea di lasciare ai Paesi membri più autonomia sugli Ogm rafforza la posizione dell'Italia, contraria all'uso di prodotti transgenici nella sua agricoltura. Viene coronato un impegno che il ministero porta davanti da anni".
"L'Italia ha un'agricoltura fatta di qualità, di colture biologiche, di prodotti apprezzati nel mondo. Gli Ogm, invece, sono produzioni massive, commodity per l'agroindustria multinazionale, e non sono convenienti per la crescita della green economy, che aiuta le imprese italiane a intercettare la ripresa. Per questo motivo - ricorda Orlando - nelle scorse settimane ho scritto al ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, per ricordarle il divieto italiano alla coltivazione del granturco geneticamente modificato e le sanzioni. Ma soprattutto è urgente che si muovano le Regioni - conclude il ministro - varando quelle 'regole di coesistenza' che difendano le produzioni tipiche nazionali, uno dei valori dell'Italia nel mondo, dai nuovi prodotti transgenici".
Al Ministro Orlando, persona seria ed onesta, è però necessario ricordare che la “libertà agli Stati membri di vietare la coltivazione degli OGM sul loro territorio è subordinata alla realizzazione di altre manovre, come per esempio l’etichettatura dei “derivati da OGM” (carne, latte, uova, ecc.), poiché, se così non fosse, la norma potrebbe risultare un “cavallo di Troia” per l’introduzione degli OGM nel nostro Paese.


Al Ministro Orlando occorre poi ricordare che anche la norma sulla coesistenza, se non attuata in modo serio e consapevole, può trasformarsi in un mezzo per agevolare l’ingresso degli OGM nel nostro Paese.