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giovedì 7 novembre 2013

Documento predisposto in occasione dell’audizione del Capo del Corpo forestale dello Stato alla Camera dei Deputati, del 6 novembre 2013


CORPO FORESTALE DELLO STATO
ISPETTORATO GENERALE
Documento predisposto in occasione dell’audizione del Capo del Corpo forestale dello Stato, Cesare Patrone, alla Camera dei Deputati, del 6 novembre 2013, ore 15.00, sulle attività svolte dal Corpo forestale dello Stato in materia di organismi geneticamente modificati (Ogm)

Gli organismi geneticamente modificati (Ogm), come è noto, sono esseri viventi che possiedono un patrimonio genetico alterato artificialmente tramite l'aggiunta, l'eliminazione o la modifica di elementi genici.
L’agricoltura è uno dei settori ad alto “rischio-OGM”, in particolare per quanto attiene ai pericoli generati dall’induzione di resistenze o tolleranze in organismi nocivi, dalla selezione di organismi infestanti o “superinfestanti”, dall’alterazione del valore nutrizionale e infine dalla riduzione di varietà coltivate e perdita di biodiversità.
Non trascurabili sono anche i rischi derivanti dall’interazione con altri organismi, che potrebbero originare un pericoloso trasferimento orizzontale dei geni, l’inquinamento della base genetica attraverso la dispersione di semi o polline, il trasferimento di geni a microrganismi ed infine la generazione di nuovi virus per ricombinazione genetica.
La normativa italiana vigente non consente la coltivazione di alcun organismo geneticamente modificato sul territorio nazionale, se non attraverso una preventiva autorizzazione ai fini dell’iscrizione nel “Registro nazionale delle varietà vegetali geneticamente modificate” e un’attenta separazione delle filiere a garanzia del principio di coesistenza tra colture biologiche, convenzionali e transgeniche. In Italia sono le Regioni che hanno la competenza di adottare le misure di coesistenza tra i diversi tipi di colture e, come noto, tale possibilità non è stata ancora utilizzata da alcuna Regione.
In particolare il D.Lgs n. 212/2001 stabilisce che la messa in coltura di Ogm debba essere soggetta ad autorizzazione con provvedimento del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, di concerto con il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministro della Salute, sia allo scopo di “evitare il contatto con le colture derivanti da prodotti sementieri tradizionali”, sia di “non arrecare eventuale danno biologico all'ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agroecologiche, ambientali e pedoclimatiche”.
In data 6 dicembre 2012, tuttavia, la Corte di Giustizia europea ha dichiarato che la coltivazione di Ogm non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà siano autorizzati ai sensi dell’articolo 20 del Regolamento (CE) n. 1829/2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e le medesime varietà siano state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, emendata con il regolamento sopra citato.
Tra le varietà di Ogm iscritte nel catalogo comune europeo è presente la varietà di mais Mon810, capace di produrre una proteina-tossina letale (Cry1Ab) per gli eventuali lepidotteri parassiti e, in particolare, per uno dei principali fitofagi della specie, la piralide, Ostrinia nubilalis, una farfalla molto diffusa nell’Italia centro settentrionale.
Nel giugno 2013 un imprenditore agricolo ha reiterato la semina di mais, effettuata la prima volta due anni or sono, privo di tracciabilità ma dichiarato geneticamente modificato, in due appezzamenti localizzati nella Regione Friuli Venezia Giulia, rispettivamente nel Comune di Mereto di Tomba (UD) e di Vivaro (PO).
Il Corpo forestale dello Stato, in ragione della sua missione istituzionale di Forza di polizia specializzata nella tutela delle risorse agro alimentari e ambientali del Paese, di propria iniziativa in agro di Pordenone e su delega della Procura della Repubblica di Udine ha svolto nei mesi scorsi dei campionamenti nei campi presuntivamente seminati a Ogm e di quelli a essi limitrofi, sia per accertare la varietà di mais geneticamente modificato coltivata, sia al fine di verificare una possibile contaminazione ambientale.
Circa la specificità dell’azione tossica degli Ogm, infatti, sussistono numerosi dubbi a livello comunitario e nazionale. Il Consiglio dell’Unione europea, ha espresso la necessità di rafforzare le procedure di valutazione del rischio ambientale degli Ogm, con particolare riferimento alla possibilità di un impatto sugli insetti non bersaglio; parallelamente, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha raccomandato il rafforzamento delle misure di gestione e sorveglianza, per evitare l’eventuale acquisizione di resistenza da parte dei parassiti e ridurre la mortalità di popolazioni di lepidotteri sensibili.
Il rischio di un impatto sulle popolazioni di lepidotteri non target è stato ulteriormente evidenziato in un parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) risalente allo scorso 30 aprile; nel medesimo studio, inoltre, non si esclude la possibilità di un impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine prodotte dal mais Mon810.
Il dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA) in data 2 aprile 2013, poi, sottolinea “l’impatto sugli imenotteri parassitoidi specialisti di O. nubilalis” e ribadisce ulteriormente il rischio di “modifica delle popolazioni di lepidottero non bersaglio”. Infine, paventa anche la possibilità di una predisposizione allo “sviluppo di parassiti secondari, potenzialmente dannosi per altre colture”, come verificatosi già in Argentina e sta avvenendo in Spagna, su colture di mais OGM.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte, il 12 luglio 2013 è stato sottoscritto, come è noto, un Decreto interministeriale a firma congiunta del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministro della Salute, in cui viene sancito il divieto di coltivazione di mais Mon810 sul territorio italiano per un periodo di 18 mesi.
Come si legge nella sentenza  della  Corte di Giustizia UE, interpellata in via Pregiudiziale dal Tribunale di Pordenone, nonché nella causa C-36/11, in data 6 dicembre 2012, la corte di Giustizia Europea ha dichiarato che: “la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'art. 20 del regolamento CE n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, emanata con il regolamento n.1829/2003”.
“L'art. 26 bis della direttiva 2001/18CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2008, NON CONSENTE ad uno Stato membro di opporsi in via generale alla messa in coltura sul territorio di tali organismi geneticamente modificati nelle more dell'adozione di misura coesistenza diretta a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture”; ciò non può essere di impedimento in via generale alla messa in coltura di OGM, con la conseguenza che i divieti devono riguardare i singoli casi, previa valutazione degli specifici aspetti relativi alla possibilità e/o probabilità di contaminazione.
Premesso quanto sopra, sul piano operativo il Corpo forestale dello Stato ha proceduto al campionamento del mais geneticamente modificato seminato nei terreni delle due province friulane; le analisi, affidate all'Istituto Zooprofilattico delle Marche e dell’Umbria, ente di ricerca specializzato nel settore, hanno confermato che la varietà di mais impiegata è il Mon810. La mancanza di tracciabilità delle sementi utilizzate, tuttavia, ha comportato l’irrogazione della sanzione amministrativa di € 16.000 prevista dal D.Lgs. 70/2005 nei confronti dell’imprenditore agricolo. La contestazione è stata effettuata e irrogata con un “codice” generico, come indicato dal Ministero dell'Ambiente  e  della Tutela del Territorio e del Mare, nelle more di adozione di un apposito capitolo con relativo codice per i pagamenti (modello F23), come previsto dall'artico 13 del medesimo decreto legislativo.
L’attività di campionamento eseguita dal Corpo forestale dello Stato ha riguardato anche i terreni limitrofi ai campi seminati con mais Mon810, allo scopo di verificare eventuali contaminazioni ambientali a carico dei terreni coltivati con mais tradizionale; i risultati analitici ottenuti dimostrano, in effetti, un “inquinamento genetico” del mais transgenico che arriva anche fino al 10%.
A fronte di una comprovata diffusione nell’ambiente del mais Ogm e della relativa tossina e sulla scorta delle considerazioni scientifiche sopra enunciate, è stata effettuata alla Procura della Repubblica di Udine una Comunicazione di notizia di reato concernente la violazione dei seguenti articoli del Codice penale:
Art. n. 650 C.P. - Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, per aver inosservato (coltivando mais Mon810), il provvedimento interministeriale sopra richiamato, in attesa di un'ordinanza da parte di un Ente locale (Regione e/o Provincia e/o Comune) a tutt'oggi non avvenuta;
Art. n. 635 C.P.  – Danneggiamento, poiché coltivando varietà di Mais Mon810 si potrebbe avere un impatto sugli imenotteri parassitoidi specialisti di Ostrinia nubilalis, oltre che modificare  le popolazioni di lepidotteri non bersaglio e favorire lo sviluppo di parassiti secondari, potenzialmente dannosi per le altre colture (piante e arbusti fruttiferi, viti e boschi);
Art. n. 56 e 500 C.P. – Diffusione di una malattia delle piante o degli animali, in quanto la coltivazione di Mais Mon810 può comportare rischi per le popolazioni di lepidotteri non target e, inoltre, non è esclusa la possibilità di impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine Cry1Ab prodotte dalla coltivazione della varietà di mais in questione.
Il Corpo forestale dello Stato sta attualmente verificando l’eventuale livello di contaminazione presente a carico dei favi degli alveari adibiti alla produzione di polline e miele situati nelle zone limitrofe ai campi Ogm e in quelli coltivati con mais convenzionale. Detto materiale è stato conferito all’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Marche e dell’Umbria per accertare l’inquinamento ambientale a carico delle popolazioni di imenotteri e dei prodotti agroalimentari connessi alla loro preziosa attività.
Si constata che, in coincidenza di questi prelievi effettuati dal personale del Corpo forestale dello Stato all'interno degli alveari collocati vicino ai campi coltivati con mais OGM, Mon810, si è registrata un’accelerazione relativa a una nuova e diversa definizione dello stato giuridico del polline da ingrediente, come è definito attualmente (obbligo di menzionarlo in etichetta), a componente come potrebbe essere in futuro. Infatti, la Commissione europea, nella persona del Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori, Tonio Borg ha sottolineato la necessità di fare attenzione a non trasformare la proposta della Commissione in un tema OGM. La proposta di modifica della Direttiva 2001/110/CE è volta a chiarire che il polline è un componente naturale e non un ingrediente del miele “altrimenti significherebbe definire il miele come un prodotto trasformato, confondendo i consumatori e non essendo in linea con le definizioni a livello internazionale”.
Secondo Borg, questo chiarimento proposto dalla Commissione non scavalca le conclusioni della Corte di Giustizia, dal momento che ogni polline geneticamente modificato presente nel miele dovrà essere autorizzato prima di poter commercializzare il prodotto.
In attesa di questi nuovi ulteriori risultati e sviluppi, si stanno estendendo i controlli su altri terreni localizzati anche in altre Regioni, al fine di verificare la presenza non dichiarata di ulteriore mais geneticamente modificato e di controllare il relativo grado di contaminazione ambientale.
In tale contesto, la soluzione ottimale alla complessa questione OGM, potrebbe avvenire solo in sede di rivisitazione delle decisioni europee del 2001 e del 2003, tesa a restituire ai singoli Stati un campo di azione autonomo per la coltivazione o il divieto sul proprio territorio di colture OGM, coerenti con le diverse tipologie di agricoltura e dei diversi valori ambientali e territoriali presenti e adottati nei singoli Stati europei.
Nelle more di tale processo sarebbe possibile l’adozione, da parte di uno degli Enti territoriali interessati da colture OGM, della relativa ordinanza di applicazione del decreto governativo del luglio del 2013 così da potere consentire l’applicazione, di quanto previsto dall’art. 650 del c.p., in caso di perdurante inosservanza dell’obbligo del divieto di colture OGM da parte di chiunque.
In alternativa, il decreto del luglio 2012 dovrebbe essere potenziato con le necessarie previsioni sanzionatorie di tipo penale da prevedere, in considerazione della lesione dei valori colturali, economici e territoriali di eccellenza dell’agricoltura italiana, con l’adozione di una decretazione di urgenza, al pari, di quanto avvenuto, per altra tipologia di fattispecie illegale, nell’agosto del 2000, per il reato d’incendio boschivo, introdotto con D.L. del 3 agosto 2000 e convertito successivamente in legge.
Sarebbe utile inoltre nel contempo realizzare una sinergia fra gli Istituti di ricerca impegnati e quindi l’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, l’ISPRA del Ministero dell’Ambiente e il CRA del Ministero delle politiche agricole, da proporre eventualmente anche all’Autorità Giudiziaria, per approfondire in maniera certa l’esistenza o meno dei danni provocati all’ambiente.
Il ruolo della ricerca scientifica e in particolare di quella pubblica, infatti, non si deve esaurire o limitare alla sperimentazione di nuove e vantaggiose applicazioni delle moderne biotecnologie, ma deve essere anche quello di valutare e prevenire i rischi connessi all’introduzione di tali tecniche nell’ambiente, fornendo, tra l'altro, delle risposte esaurienti e rassicuranti all’opinione pubblica e ai cittadini.
Il Corpo forestale dello Stato intanto sta continuando nello svolgimento delle indagini tese a evidenziare i danni ambientali emergenti e a verificare l’esistenza sul territorio nazionale di altre piantagioni di mais OGM.

L’azione del Corpo forestale dello Stato è incentrata sulla convinzione che prevenzione e repressione debbano coesistere sinergicamente, nell’ottica di ottimizzare il valore aggiunto del paesaggio agroalimentare italiano, la cui conservazione risulta prioritaria ai fini del mantenimento sul territorio di produzioni agricole capaci di generare sia alte remunerazioni economiche per gli agricoltori, sia numerosi servizi ambientali per tutti i cittadini, nonché i prodotti di eccellenza del made in Italy, che rappresentano la nostra carta d’identità in ambito internazionale.