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lunedì 31 dicembre 2012

OGM e deruralizzazione del territorio


Gli OGM contribuiranno al mantenimento dell’attività agricole in aree meno dotate da un punto di vista delle capacità produttive dei terreni, le cosiddette aree marginali?

         Trattasi di una problematica di estrema rilevanza, in quanto da sempre l’agricoltura svolge un ruolo di rilievo per la nostra società. Da un lato essa è fonte rinnovabile di beni di consumo, siano essi alimentari e non, dall'altro costituisce l'unica attività che consente di "presidiare" costantemente il territorio, impedendo fenomeni di dissesto idrogeologico e fenomeni legati al degrado dell'ambiente antropizzato. In particolare, in un'ottica di sviluppo sostenibile le principali attività che l'agricoltura, e l'agricoltore, deve assicurare alla collettività possono essere riassunte nelle seguenti:
-      produzione di derrate agricole;
-      fornitura di materie prime per altri settori economici;
-      presidio del territorio;
-      manutenzione del territorio;
-      tutela della flora e della fauna;
-      conservazione della biodiversità;
-      riciclo degli effetti ambientali negativi prodotti da altre attività produttive o di consumo sul territorio (assestamento del territorio, immobilizzazione dell'anidride carbonica, ecc.);
-    conservazione del paesaggio e del territorio rurale;
-    conservazione di elementi culturali tradizionali;
-    conservazione di tecniche di trasformazione e di pratiche gastronomiche tradizionali.
Pertanto, la nostra società ha bisogno della presenza dell’agricoltura e dell’agricoltore sul territorio rurale e dovrà adottare politiche agrarie in grado di proteggere il suo reddito, al fine di consentire la permanenza di questa attività anche in aree marginali (di collina, di montagna), che non possono certo competere sulla base dei bassi costi di produzione, ma che possono essere competitive solo sulla base di presupposti di qualità dei prodotti che offrono sul mercato.Dalle suddette considerazioni si evince che l'aspetto produttivo rappresenta solo una parte delle finalità a cui l'agricoltura deve rispondere, per cui prima di introdurre nel nostro Paese la coltivazione di OGM occorrerà verificare l'impatto che questa tecnologia potrà avere su questo settore economico. In particolare, alcuni dubbi sorgono in merito al mantenimento della sua competitività sul mercato internazionale. L'agricoltura italiana si caratterizza per la presenza di aziende agricole di modeste dimensioni, che spesso non possono certo permettersi l'acquisto di macchinari specifici per una determinata coltura, per un costo dei fattori produttivi molto elevato (terra e manodopera soprattutto) e per limitazioni di carattere ambientale in merito all'utilizzazione di determinati fattori della produzione (concimi, antiparassitari, ecc.). Come potrà competere la nostra agricoltura, anche se saranno introdotte le piante transgeniche, con l'agricoltura americana o argentina, dove aziende agricole di migliaia di ettari sono alla continua ricerca dell'automazione del processo produttivo (e le piante transgeniche costituiscono il primo passo per ottenerla)? Come potrà farlo, se consideriamo che il processo produttivo sarà controllato dai satelliti e dove l'intervento dell'uomo sarà quasi nullo? Trattasi di un problema reale che potrebbe contribuire alla scomparsa dell'agricoltura dai territori marginali, alimentando fortemente tutte quelle problematiche connesse alla conservazione ed alla tutela del territorio. E' senza dubbio un argomento che rappresenta una delle frontiere più interessanti e nello stesso tempo più inquietanti della vita contemporanea, uno dei campi in cui scienza, ricerca, tecnologia ed etica si intrecciano, dando vita a problematiche, spesso sconosciute, che con ogni probabilità si ripercuoteranno a lungo sullo sviluppo della nostra società e su quello delle generazioni future. In particolare, si tratta di una tecnologia fortemente innovativa, che rende le piante simili a laboratori in grado di produrre di tutto ovunque. Con le moderne biotecnologie sarà "finalmente" possibile indurre nelle piante la resistenza al freddo, in modo tale da poter coltivare piante tipicamente mediterranee (agrumi, olivo, vite, ecc.) in ogni parte del pianeta; sarà possibile introdurre resistenza a fattori pedoclimatici avversi (acidità, contenuto di calcare, contenuto di sodio, ecc.) rendendo possibile l'ampliamento delle aree di produzione di qualsiasi pianta; sarà possibile "generare" piante che per fiorire hanno un ridotto fabbisogno di freddo invernale, per cui sarà possibile produrre mele e pere tipiche delle aree settentrionali anche nelle regioni meridionali della penisola; sarà possibile far produrre a piante erbacee annuali le sostanze che attualmente otteniamo dopo anni di allevamento da piante arboree (per esempio sembra che sia possibile ottenere olio di colza uguale a quello ottenuto dalla spremitura delle olive), e gli esempi potrebbero continuare ancora. E' fuori da ogni dubbio il fatto che le potenzialità di questa nuova tecnologia siano enormi e di portata tale da poter affermare che difficilmente sarà possibile operare una obiettiva e rispondente previsione degli effetti che essa potrà avere sul settore agricolo (con particolare riferimento all'azienda agricola) e, conseguentemente, sul territorio rurale, del quale l'azienda agricola è sicuramente soggetto predominante.La possibilità di ottenere "nuovi individui" appositamente progettati e realizzati per poter resistere a condizioni pedoclimatiche avverse pone il problema dell'eventuale spostamento delle produzioni da quelle che attualmente sono le tradizionali aree di coltivazione e/o di allevamento, con conseguente aggravamento delle problematiche legate al presidio e alla conservazione del territorio rurale. Tale nuova localizzazione potrebbe avvenire sia allo scopo, più che legittimo, di aumentare il grado di autoapprovvigionamento alimentare di una determinata regione, sia, meno legittimamente, per incentivare la produzione in aree dove è possibile reperire a più basso costo i fattori produttivi necessari ad ottenerla per poi esportare i prodotti ottenuti sui mercati di consumo. In quest'ultimo caso, oltre ai problemi legati alla disoccupazione e all'esodo rurale che si verificherebbe nei territori in cui quella particolare attività viene abbandonata, inevitabilmente, un aumento dell'impatto ambientale provocato dalle operazioni di condizionamento, trasporto e ridistribuzione, necessarie per far giungere i prodotti dai luoghi di produzione ai mercati di collocamento. In questa situazione verrebbero meno anche gli elementi legati alla "tipicità" delle produzioni agricole, intendendo con questo termine il legame esistente tra tipologia del materiale di propagazione, tecnica di produzione e luogo di produzione. In particolare, con l'introduzione di organismi geneticamente modificati sarà possibile superare il limite naturale che ostacola la diffusione di determinate produzioni in ambiti a loro ostili (è il caso per esempio di gran parte delle produzioni ortofrutticole mediterranee), poichè mediante l'"ingegneria genetica" sarà possibile introdurre geni in grado di conferire alla pianta una specifica resistenza a fattori pedoclimatici avversi. Queste ultime affermazioni pongono problematiche decisamente rilevanti per i Paesi che si affacciano sul mediterraneo:
 - cosa ne sarà degli agricoltori che attualmente ricavano un reddito da queste coltivazioni, una volta che sarà possibile ottenerle anche in altre aree del pianeta? - cosa ne sarà del paesaggio rurale tipico di determinati territori, allorchè la diminuita domanda di questi prodotti determinerà il loro abbandono da parte degli agricoltori?- cosa ne sarà degli elementi di cultura tradizionali legati a determinate produzioni tipiche?- cosa ne sarà delle tradizionali filiere legate alle produzioni agricole localizzate nell’area mediterranea (trasformazione e commercializzazione in primis)?
- quali interventi occorrerà mettere in atto per contrastare l'abbandono di queste coltivazioni, in relazione alla funzione paesaggistica e di contenimento del dissesto idrogeologico da esse determinato?





A decretare la perdita di competitività delle produzioni agricole attuate in aree marginali sarà poi l’inevitabile diminuzione dei prezzi delle materie prime agricole, in relazione all’abbattimento dei costi di produzione generati dagli individui biotecnologici. Infatti, in questo settore economico, al contrario di quanto avviene in quello industriale che opera per la gran parte in condizioni di oligopolio, si è in presenza di un'offerta decisamente atomistica. In questa situazione l'agricoltore non è in grado di controllare il prezzo dei suoi prodotti. E’ forse inutile far osservare che i maggiori danni saranno subiti dalle aziende agricole ubicate in aree marginali, che dovranno continuare ad operare in un mercato in cui troveranno produzioni OGM ottenute in aree molto produttive ed offerte ad un prezzo sempre più basso. Queste aziende, non più remunerative per il mercato, saranno con ogni probabilità abbandonate con tutte le conseguenze di ne potranno derivare in termini di conservazione dell’assetto idrogeologico, di tutela del paesaggio, di presidio del territorio, ecc.
L’inevitabile contrazione dei prezzi indotta dall’utilizzazione di OGM può determinare anche una diminuzione del  reddito reale dell’agricoltore, in quanto i prezzi dei prodotti non agricoli che egli acquista sul mercato rimarranno, nella migliore delle ipotesi, costanti (se il prezzo del grano diminuisce, occorrono più quintali di grano per acquistare un’automobile, un televisore, un abito, ecc.). Addirittura, per la legge di Engel, vi è la possibilità che, in relazione ad un aumento del reddito reale del consumatore, favorito dalla diminuzione del prezzo dei prodotti agricolo-alimentari (se diminuisce il prezzo degli alimenti, a parità di reddito il consumatore può acquistare una maggior quantità di altri beni), si verifichi un aumento della domanda di beni non agricoli, con conseguente aumento del loro prezzo e conseguente ulteriore diminuzione del reddito reale dell'agricoltore. Ecco, allora, che in questa situazione l’agricoltore si sentirà “più povero”, in quanto sarà costretto a produrre di più (anche attraverso un maggior sfruttamento delle risorse naturali) per poter mantenere il precedente livello di benessere, in pratica, per mantenere lo stesso livello di potere d’acquisto. Del resto le moderne biotecnologie in agricoltura incrementando  la  produttività e, soprattutto,  la  produzione agricola, tendono  a  ridurre  i  prezzi  e  a   mettere  in  moto  un   processo  di  "macina  tecnologica"  che  porta,  tra l'altro,  all'espulsione  dal  mercato di una parte di agricoltori  che, nel caso in cui le   condizioni del mercato del  lavoro extra-agricolo lo rendano  possibile, si  spostano su occupazioni extra-agricole  a più alta remunerazione.
Ecco allora che possono venir meno le condizioni che attualmente consentono la permanenza delle aziende agricole anche in territori marginali, dove a fatica l’agricoltore riesce ancora a ricavare un certo reddito dall’attività di coltivazione delle piante e di allevamento degli animali. Cosa ne sarà dell’agricoltura attuata in territori marginali che vedranno diminuire i prezzi dei prodotti agricoli, prezzi che già ora, in molti casi, non sono in grado di fornire un pieno reddito all’agricoltore? La risposta è semplice: con ogni probabilità questi territori saranno abbandonati, con amplificazione dei problemi connessi all’esodo rurale delle famiglie contadine ed al dissesto idrogeologico del territorio. La stessa domanda si può porre in altri termni con conclusioni non dissimili: che cosa  ne sarà  dei fattori  della produzione  liberati dall'adozione degli individui  biotecnologici?  Essi,  con ogni  probabilità, potranno avere due destinazioni:
- potranno essere impiegati in altri settori economici (industriale o terziario) nel caso in cui ve ne sia la necessità;
- potranno  continuare ad  essere impiegati nell'azienda agricola,  nel caso in cui, al contrario della situazione precedente, non vi sia richiesta di tali fattori in altri settori economici.Nel primo caso si avrebbe un aumento dell'esodo rurale, con aumento quindi delle problematiche relative al presidio ed alla manutenzione del    territorio.  Nel secondo caso si assisterebbe ad un aumento dell'offerta di  questi fattori  della produzione,  con conseguente  abbassamento delle relative remunerazioni  e creazione  di aziende agricole extramarginali; aziende che  con  la  loro  attività non   sono  più  in  grado  di  remunerare adeguatamente i fattori della produzione (in esubero) impiegati.
Il minor reddito per il produttore agricolo delle aree marginali è anche conseguenza del fatto che gli OGM sono sostanzialmente disattivanti nei confronti dei fattori della produzione che egli apporta direttamente (manodopera soprattutto) e richiedono, nello stesso tempo, un maggior apporto di fattori esterni all’azienda agricola, fattori produttivi di origine industriale (sementi che offrono dei vantaggi ma che costano di più e fattori produttivi in grado di far produrre le stesse sementi), che l’agricoltore è costretto ad acquistare sul mercato. Questa situazione è particolarmente dannosa per le aziende agricole di modeste dimensioni come quelle italiane, nelle quali il lavoro manuale rappresenta ancora una componente importante del reddito netto derivante dall’attività agricola. Una  politica di  questo  tipo,  operata soprattutto dall'industria produttrice dei mezzi tecnici per  l'agricoltura, è nota  come politica di "appropriazionismo",  mediante la  quale viene perseguita una  strategia che mira  ad aumentare  il grado  di industrializzazione  del processo   produttivo  agricolo  tramite l'espropriazione  di  attività tradizionalmente svolte all'interno  dell'azienda agricola e la loro sostituzione con  input di origine industriale.   Anche in  questo caso si  assisterebbe ad  una perdita di importanza del settore agricolo, che vedrebbe diminuire il  fabbisogno di manodopera,  per lo più  di tipo familiare, necessario  per portare a termine  le produzioni,  con   conseguente  aumento   delle  problematiche   relative  all'esodo rurale, all’occupazione ed al  presidio ed alla  conservazione del  territorio. A questo proposito possiamo affermare che, soprattutto per le coltivazioni erbacee annuali, la semente biotecnologica potrebbe rappresentare il primo passo per consentire la completa automazione del processo produttivo agricolo (piante autosufficienti, resistenti a tutti i tipi di malattie e che crescono ovunque), un processo produttivo che sarà controllato dai satelliti,  che non avrà più bisogno dell’agricoltore o, per lo meno, ne avrà bisogno in modo molto limitato. E’ in questo contesto, ovvero in un contesto in cui il reddito da capitale prevarrà sul reddito fornito dagli altri fattori produttivi (terra e lavoro che molto spesso sono di proprietà dello stesso imprenditore agricolo), che si creano i presupposti per il passaggio del controllo del territorio rurale dall’agricoltore, che non riesce più a ricavare un reddito adeguato dall’attività agricola poiché i fattori della produzione di cui dispone non sono più necessari e quindi non sono più remunerati, ad individui estranei all’attività agricola, che con i propri capitali, o con i capitali di terzi, saranno in grado di subentrare non soltanto nell’attività di coltivazione, ma anche nella proprietà delle aziende agricole.  Tale situazione, inevitabilmente, darà origine a gravi problemi di sostenibilità del territorio rurale, in quanto le tecniche di produzione che questi “nuovi agricoltori” adotteranno saranno sicuramente indirizzate alla massimizzazione del reddito da capitale da loro stessi fornito.
Con  l'introduzione di  individui geneticamente modificati l'agricoltore   potrebbe  perdere parte delle funzioni imprenditoriali, poichè  verrà ad assumere sempre più importanza il settore industriale, quale  fornitore del materiale di  propagazione (semente transgenica resistente ad un determinato diserbante) e dei mezzi tecnici necessari  per portare  a  termine  il processo  produttivo (diserbante complementare alla semente transgenica),  nonchè quale utilizzatore  del prodotto  agricolo ottenuto.  In  particolare, sarà  sempre più  possibile modificare  il  pacchetto  di  informazioni  genetiche  che  controllano  la   crescita  delle  piante  e  le loro  reazioni  nei  riguardi  dell'ambiente.   I programmi di  riproduzione  renderanno  l'agricoltura sempre  più indipendente  dall'ambiente  naturale.  Il raccolto  agricolo non  sarà più  determinato fondamentalmente  dalle specifiche  condizioni   naturali  (natura  del suolo,  clima,  ecc.)  ma dall'ammontare  delle conoscenze scientifiche e  tecnologiche che sono incorporate  nei prodotti di base  (sementi, metodi di difesa), destinati a determinare  dove, come  e  quando   l'agricoltore deve seminare, raccogliere  e quali  cure deve dedicare  alle sue colture.A proposito delle precedenti affermazioni, occorre rilevare che l'introduzione di  individui geneticamente  modificati potrebbe  comportare anche  una diminuzione dell'importanza di questo settore economico in  relazione alle   strategie  di  "sostituzionismo" messe  in  atto dal  settore  industriale  legato  alla  trasformazione dei  prodotti agricoli.  In  particolare,  la  possibilità  recentemente  offerta dalle  biotecnologie  avanzate di  intervenire sulla  base organica    del   processo  produttivo  agricolo,  manipolandola   e controllandola,  consente per  la prima  volta di  rimuovere l'ostacolo che ha finora   impedito  la  completa  industrializzazione  del processo  produttivo agricolo  e la  produzione  industriale di  materia  organica,  in tal  modo permettendo l'unificazione delle varie fasi di produzione di   prodotti alimentari in un  unico processo produttivo di tipo    industriale.  Questa  opportunità è resa  possibile  dallo   sviluppo  di  organismi  fortemente specializzati  nella produzione  di  materie  prime di  base  (vitamine,  carboidrati,   grassi,  ecc.).    Tali  sostanze   potranno poi  essere utilizzate dall'industria  per produrre  beni alimentari e non.
Per lo "sviluppo sostenibile" della nostra agricoltura occorrerà poi rivedere le norme relative alla brevettabilità dei prodotti transgenici, in quanto non è possibile accettare che colui che ha inserito un gene in una pianta acquisisca il “monopolio di fatto” su quella pianta, impedendone, così, la libera coltivazione.

Qualcuno potrebbe affermare che i precedentI scenari sono in contrasto con quello che è accaduto in alcuni Paesi (U.S.A., Canada, Argentina), nei quali, a “testimonianza del gradimento degli agricoltori”, si è avuto un forte incremento delle superfici destinate alla coltivazione di piante transgeniche. A tal riguardo occorre osservare che l’incremento delle superfici si è avuto solo nei Paesi in cui si è in presenza di un’unica filiera di distribuzione per il medesimo prodotto, sia esso transgenico o  non transgenico. In presenza di un’unica filiera, e con prezzi flettenti dei prodotti così come si è verificato per la soia e per il mais transgenici, è ovvio che se l’agricoltore vuole conservare un certo margine di redditività dall’attività di coltivazione, sarà “costretto”, anche suo malgrado, a seminare le cultivar caratterizzate dal minor costo di produzione (ovvero quelle transgeniche). Ecco allora che l’incremento delle superfici coltivate è dovuto, non tanto ad un gradimento dell’agricoltore nei confronti di queste piante, ma alla necessità da parte dello stesso di mantenere un certo margine di redditività dall’attività agricola (è ovvio che se il prezzo del mais transgenico è uguale a quello del mais convenzionale, egli coltiverà quello caratterizzato dal minor costo di produzione, ovvero quello transgenico).
A questo  punto, e sulla  base delle considerazioni precedenti, occorre  valutare attentamente se l’introduzione di OGM in agricoltura  risponde  a  presupposti di  "sviluppo sostenibile", sia da un punto  di vista dei "reali vantaggi"         ottenibili dall'attuale società  e dalle generazioni future,   sia da un punto di vista dei "reali vantaggi" ottenibili dal   settore agricolo.
Occorre rilevare poi che in un futuro ormai prossimo, le nostre produzioni dovranno confrontarsi con quelle provenienti da Paesi caratterizzati da costi di produzione decisamente inferiori ai nostri, da Paesi che non hanno limitazioni nell’utilizzazione di determinati prodotti chimici, siano essi concimi e/o antiparassitari, da Paesi nei quali il lavoro minorile non è tutelato o è, addirittura, incentivato e/o sfruttato, da Paesi che non saranno in grado di garantire il materiale genetico da cui deriva la produzione e l’elenco potrebbe continuare ancora. Ecco allora che nei prossimi anni i problemi per l’agricoltura nazionale deriveranno con ogni probabilità anche dalla globalizzazione dei mercati e dalla conseguente realizzazione di un grande mercato mondiale dei prodotti alimentari, un mercato dove con ogni probabilità l’imperativo sarà produrre di più (non importa con quale tecnica e/o con quale materiale genetico) ai più bassi costi possibili, per poi vendere i prodotti ottenuti laddove ci sono i soldi per acquistarlo.
In un contesto come quello delineato occorre chiedersi: ma i bassi costi e la globalizzazione dei mercati si conciliano con la qualità della produzione da tutti auspicata? Si adattano alla necessità di assicurare un reddito anche agli agricoltori delle aree “svantaggiate” da un punto di vista dei costi di produzione? Si conciliano con lo sviluppo sostenibile del territorio? Riescono a preservare l’identità culturale, economica, sociale e professionale di un territorio?
E’ a queste domande che occorre fornire una risposta, al fine di verificare se nel lungo periodo gli OT e il conseguente processo di globalizzazione dei mercati rappresenti per il territorio rurale del nostro Paese un’opportunità o, al contrario, una strada pericolosa, che potrebbe determinare effetti dannosi per il benessere della nostra società e per quello delle generazioni future.
Pertanto, le problematiche relative all'introduzione di coltivazioni transgeniche di prima generazione sono notevoli e di portata tale da non giustificare una decisione affrettata. In particolare, come per le altre innovazioni tecnologiche, la loro applicazione può essere buona, mediocre o, addirittura, cattiva. Per il momento, le moderne biotecnologie hanno riguardato solo ed esclusivamente applicazioni finalizzate all'automazione del processo produttivo agricolo. Certamente la nostra agricoltura da sempre basata su presupposti di tipicità e di qualità non ha bisogno dell'attuale biotecnologia, che per essere considerata sostenibile dovrebbe avere possibilità applicative decisamente migliori.
Occorrerà poi valutare attentamente se questi "nuovi alimenti" rispondono ad una reale esigenza del consumatore. Soprattutto nell'attuale momento in cui quest'ultimo tende a privilegiare la tipicità, la salubrità e, più in generale, la naturalezza dei prodotti alimentari (il forte aumento del consumo di produzioni biologiche ne è una conferma), si può affermare che il loro sviluppo è sicuramente controtendenza. Una controtendenza che andrà valutata attentamente, al fine di non impiegare risorse e capacità umane nello sviluppo di produzioni delle quali, per il momento, non abbiamo una reale necessità.
In definitiva, compito dell’attuale generazione, se veramente crede che questa tecnologia possa essere determinante per lo sviluppo sostenibile, è quello di fugare ogni dubbio applicativo, in ossequio al principio di precauzione, demandandone l’applicazione in campo aperto alle future generazioni.